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La giacca verde

Regia di Franco Giraldi vedi scheda film

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La recensione su La giacca verde

di Baliverna
8 stelle

Bello questo studio di un rapporto complesso di amicizia/rivalità tra due uomini molto diversi tra loro.
Il triestino Franco Giraldi, regista talentuoso ma discontinuo, è qui in un momento sicuramente positivo, e gira un film originale e interessante. Il ritmo è tranquillo, con qualche smagliatura appena in certi punti; ma quasi sempre è scorrevole e la noia non si fa sentire. Anzi, si segue con interesse questo studio di caratteri e di rapporti, in un sottile gioco tra verità e finzione, rivalità e amicizia, orgoglio e umiltà. Il regista è servito a dovere da una coppia di bravi attori (Montagnani e Cassel), senza nulla togliere anche alla bellona Berger.
Devo però soffermarmi sulla maiuscola prova di Renzo Montagnani, così bravo che quando è in scena lui le sequenze ci guadagnano e la pellicola è più interessante. L'attore riesce a rendere bene un personaggio complesso e ambiguo, sempre in bilico tra il suscitare simpatia o antipatia. La sua ambiguità in sé però non infastidisce; il suo "maestro" è semplicemente un pover'uomo che cerca di sembrare qualcuno per ritagliarsi il suo orticello di considerazione. Il motivo è che forse altrimenti non ne otterrebbe alcuna. Certo, l'impostura è sempre da disapprovare, ma qui l'impostore suscita quasi un po' di compassione. Montagnani ci regala diverse espressioni e movenze che rendono lo stato d'animo del personaggio e quello che non dice a parole, o che cerca di nascondere. Grande. L'interpretazione dell'attore è per lui innanzitutto un merito, ma anche un biasimo, perché fa venire un sentimento di rimpianto per tutti i filmacci in cui il compianto Renzo si è buttato via. Era un uomo di talento, e avrebbe potuto lasciarci altri bei ricordi di sé, come questo.
Ho trovato buona anche l'ambientazione rarefatta in un anonimo villaggio forse dell'Appennino, luogo isolato e indefinito, dove i due uomini instaurano il loro sottile e astuto gioco. La guerra è un'eco lontana, e la storia fa solo capolino: il fascismo, i perseguitati nascosti nei conventi, le "prostitute fisse" dei gerarchi fascisti sempre a disposizione. L'astrazione della messa in scena, però, fa il gioco del regista, e attira l'attenzione degli spettatori sul "maestro" finto e il "maestro" che non rivela di esserlo.
Bell'esempio di televisione, quando essa era ancora capace (per poco) di opere dignitose come questa.



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