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Regia di Jordan Peele vedi scheda film

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La recensione su Noi

di maghella
8 stelle

“NOI SIAMO AMERICANI”.

Santa Cruz, 1986. Adelaide è una piccola e graziosa bambina di colore che guarda alla tv una pubblicità che annuncia la volontà di formare una lunga catena umana per manifestare contro la fame nel mondo. La stessa bambina festeggia assieme ai suoi genitori il suo compleanno. Un luna park, la vincita di una t.shirt di Thriller di Micheal Jackson e una mela candita, dovrebbero bastare a rendere una bambina contenta e felice, ma i continui litigi tra il padre troppo spensierato e la madre eccessivamente apprensiva, creano in Adelaide una sorta di gran tristezza che la fanno allontanare approfittando di un momento di disattenzione del padre. Adelaide scende in spiaggia, di notte e trova rifugio nel tunnel dell'orrore mentre scoppia un improvviso temporale. Qui, la bambina si perde tra gli specchi deformanti, fino a quando trova una bambina girata di spalle esattamente identica a lei. Adelaide viene ritrovata dai suoi genitori comprensibilmente traumatizzata, tanto da aver perso momentaneamente l'uso della parola.

Oggi Adelaide è una donna realizzata, sposata con Gabe, e con 2 figli: l'adolescente Zora e il piccolo Jason. Tutti e 4 si recano, come ogni anno, nella casa di famiglia di Adelaide a Santa Cruz per le vacanze. Adelaide si lascia convincere da Gabe a recarsi sulla spiaggia, che rimane per la donna luogo di grande terrore proprio per la brutta esperienza vissuta da bambina, ma che però (intuiamo) non ha mai rivelato al marito. Appena arrivati in spiaggia, la famiglia incontra i loro vicini di casa, i Tyler, con cui Gabe ha una sorta di rivalità. Adelaide rimane a disagio per tutta la giornata, fino a quando entra nel vero panico quando perde di vista per qualche minuto il figlio Jason. Tornati a casa, Adelaide confessa al marito i motivi per la sua grande ansia, Gabe rimane incredulo al racconto, fino a quando scoprono fuori dalla casa 4 individui, una famiglia per l'esattezza, che immobili aspettano sul vialetto a pochi metri dalla porta. Da questo momento in poi comincia il vero terrore per la famiglia di Adelaide, 4 copie simili a loro si intrufolano nella casa e li sfidano. La copia di Adelaide, l'unica che pare essere in grado di comunicare, spiega che ad ogni istante della loro vita ne è corrisposto uno simile ma in versione “tenebrosa” nei sotterranei dalle loro ombre. Quando alle ombre viene chiesto chi siano, esse rispondono: “Noi siamo americani”. Qui si sintetizza in effetti tutto il messaggio horror del film. Ad ogni famiglia americana ne corrisponde una fac simile, lasciata vegetare per anni nei tunnel sotterranei a vivere una vita parallela ma dall'anima dark, quasi potessero assorbire tutto il negativo di una esistenza nelle fogne di una umanità lasciata senza depuratori o valvole di sfogo. La famiglia di Adelaide, la famiglia Tyler e chissà quante altre centinaia di altre famiglie americane, hanno tutto senza sapere di avere già tutto, senza sapere che sotto i piedi i loro doppioni stanno vivendo per conto loro tutta la parte sporca dell'esistenza come dei veri dannati dell'inferno. Un inferno che ha una porta all'interno di un tunnel dell'orrore e che ha come accesso una scala mobile, nel quale si mangiano migliaia di coniglietti crudi, e dove le ombre mimano ogni gesto che viene svolto e vissuto in superficie.

Le ombre salite in superficie uccidono i loro simili, continuando a imitarli nei movimenti e negli atteggiamenti, come una sorta di caricatura terribile che non provoca alcun piacere e che mette in luce una vita fatta di illusioni e vacuità. Adelaide e la sua famiglia si ritrova a combattere contro loro stessi (“loro sono noi”, dirà immediatamente Jason appena vede i 4 in piede davanti alla propria famiglia terrorizzata), come in una lunga notte dei morti viventi, solo che quelli che hanno dinanzi non sono zombi ma veri e propri replicanti, una sorta di figli degli ultracorpi degli anni '50, una fantascienza fin troppo moderna, arrivata da qualche esperimento umano malato e lasciato deformare nei decenni. Come in ogni storia di lotte intestine che si rispetti, anche in questa ci sarà un duello finale decisivo, e dulcis in fundo una conclusione con sorpresa (ma neppure tanto se si è stati ben attenti a molti particolari che il film offre).

Jordan Peele torna dopo due anni dall'ottimo “Get Out” con un secondo film horror, confermando il buon risultato ottenuto con il primo film. Peele scrive, produce e dirige con cura “Noi”, dimostrando che il primo lavoro non era stato casuale, ma di saper usare con ottima capacità la macchina da presa, soprattutto di sapere cosa vuole raccontare e di voler riportare il genere horror ad un livello dignitoso, restituendogli quelle capacità comunicative politico sociali di cui è capace. Da troppi anni infatti, il genere è precipitato ad un mero livello ludico per giovani teen ager, capace solo di utilizzare effetti speciali e trucchi di ultima generazione, o di rifarsi a storie già raccontate decine di volte. Peele, prima con “Get Out” e oggi con “Noi”, cerca una nuova strada, pur facendosi carico di un bagaglio culturale dovuto sicuramente ad una buona conoscenza della storia cinematografica di genere. Non a caso ho citato prima “La notte dei morti viventi” di Romero, e “L'invasione degli Ultracorpi”, due film che in anni differenti hanno raccontato la paura per la manipolazione dovuta ai media, ai risvolti politico sociali che in quelle epoche si vivevano. Con i baccelli caduti da un pianeta alieno si creavano copie di umani prive di emozioni capaci solo di ubbidire senza creare disordini; con gli zombi di Romero, si arrivava ad una fame incondizionata e senza fine verso un consumismo privo di utilità; con le ombre di Peele, si nascondono i propri malesseri sotto la superficie calpestabile, proprio come la spazzatura sotto il tappeto, sperando così di non vedere le vere facce di noi stessi, trasformate da una esistenza disattenta alle necessità reali della vita. Peele crea nei sotterranei una sorta di enorme clinica per un liftinig umano, che ad un certo punto sfugge al controllo. Non a caso le orme sono armate di grosse forbici chirurgiche.

Cosa potrà spezzare la lunga catena che si sta formando e che vuole incatenare il mondo alla reale immagine? La consapevolezza della propria natura. Come in tutte le rivoluzioni che si rispettano, è la consapevolezza della propria condizione a creare prima la frustrazione e poi la ribellione necessaria alla lotta per la liberazione.

Un film potentissimo quindi nel messaggio, soprattutto se si pensa che i protagonisti sono per la maggior parte afroamericani. Peele dimostra di aver imparato molto bene l'arte del racconto nel genere horror, soffermandosi nel momento dei viaggi in macchina per mostrare i caratteri dei personaggi, per poi concentrarsi sui particolari utili alla narrazione negli ambienti casalinghi, e a darci le informazioni più astratte nelle parti dedicate ai ricordi e ai flash back. Questo ottimo mixaggio di notizie dà al film il ritmo necessario per arrivare nell'ultima parte senza nessuna lacuna in merito alle vicende. Sempre come da tradizione narrativa, non mancano i dialoghi comici e scene sarcastiche che spezzano nei momenti necessari la tensione troppo alta. Il sorriso, nei film horror, l'ho sempre trovato un' arma a doppio taglio: da una parte solleva, dall'altra fa abbassare le difese verso le scene più cruente successive, chi sa utilizzare al meglio la comicità in questi ambiti può ottenere ottimi risultati a livello emotivo.

Altra nota di rilievo che mi fa alzare di quasi un punto il mio buon giudizio su “Noi” è la bellissima colonna sonora di Michael Abel. I titoli di testa sono accompagnati da un coro degno del buon Ennio Morricone in stato di grazia, le immagini di centinaia di coniglietti in gabbia, in una classe con banchi vuoti fanno il resto. Erano anni che non mi capitava di ascoltare una colonna sonora di tanto effetto, in un periodo in cui le colonne sonore sono fatte solo di rumori assordanti a volumi altissimi solo per sottolineare uno sbatter di porta, finalmente qui si nota una ricerca, una volontà di raccontare per immagini e musica una emozione, una sensazione di forte disagio che poi rimane immancabilmente anche una volta usciti dalla sala cinematografica.

Spero che il buon lavoro di Jordan Peele non venga interrotto da politiche di mercato, che venga supportato dal buon produttore Jason Blum nel continuare il suo percorso di regista di genere.

Il film è buono grazie anche alla bravura degli attori, Lupita Nyong'o, nella parte di Adelaide, ma io ho fatto un sussulto quando ho visto nel cast Elisabeth Moss, che nel ruolo dell'antipatica e vanitosa signora Tyler è veramente azzeccatissima.

 

Note personali:

ricordo una volta che da bambina mi persi in una ferramenta di Rozzano. Passai i miei peggiori 10 minuti, tanto che ancora oggi non ne ho scordato nemmeno uno di quei 10 trascorsi. Mai come allora capii quanto fosse importante non perdere di vista le cose importanti, in quel caso era una persona: la mia mamma, che appena mi ritrovò mi diede prima un ceffone e poi mi portò dal panettiere accanto a comprarmi una meringa. Di quel brutto episodio ricordo ancora una cosa però: non volli far vedere che ero morta di paura, cercai in tutte le maniera di nasconderlo.. Chissà se quella paura mai svelata o raccontata ha macinato in me, in un luogo profondo un'ombra che oggi cerca di uscire fuori. Parte il coro nella mia testa: titoli di coda, fine.

 

https://www.youtube.com/watch?v=NGBO1mq9gN0

 

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