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Regia di Jordan Peele vedi scheda film

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La recensione su Noi

di Malpaso
8 stelle

Peele piega le regole del genere per attaccare Trump, senza dimenticarsi che un horror deve fare paura e divertire.

La recensione che segue la trovate anche sul mio blog.

 

Dopo il successo e l’Oscar per Scappa – Get Out, Jordan Peele torna alla regia per la seconda volta e conferma la sua abilità nel piegare le regole del genere ad una visione molto personale della contemporaneità: Noi è, infatti, un horror spiazzante che si presta a svariate interpretazioni, senza però rinunciare all’intrattenimento che un buon prodotto di tale filone dovrebbe garantire.

 

Noi prende il via da uno spunto molto semplice: una famiglia americana va in vacanza al mare e viene presa di mira da un’altra famiglia, la quale si rivela essere composta dai loro sosia. Innanzitutto bisogna precisare che nel primo atto il film si rivela poco convincente, siccome fatica ad inquietare e la trama, oltre il presentimento di andare a fossilizzarsi nel “banale” thriller psicologico, dà la sensazione di essersi infilata in un vicolo cieco, causa (apparentemente) precoce disvelamento degli antagonisti. Va anche detto che il regista sbaglia alcuni jump scare e inserisce all’interno del gruppo di protagonisti un personaggio comico il quale, anziché stemperare una tensione che stenta a salire, rischia di far crollare il tutto nel farsesco. Per fortuna arriva in soccorso un punto di svolta che stravolge le carte in gioco: il registro cambia sorprendentemente e l’ironia dell’autore si sfoga in quella che è una vera e propria rielaborazione moderna dello zombie movie.

 

Ovviamente cloni e morti viventi non sono la stessa cosa, ma la struttura adottata dall’opera deve molto a Romero, con annessa inevitabile lettura politica. Peele dedica a Trump tutta la seconda parte di pellicola, da piccole frecciate (uscire dagli Stati Uniti per trovare salvezza in Messico) ad esplicite prese di posizione: quando viene loro chiesto chi siano, la sosia della protagonista afferma il loro essere “americani”. Così l’alba di questa nuova civiltà, composta da copie scoordinate e con minore quoziente intellettivo degli originali (vi ricorda qualcosa?), rappresenta l’ondata di imbecillità che monopolizza sempre più l’occidente. Interpretazione sostenuta a sua volta da quello che è il tema cardine di Noi, ovvero l’inattuabile separazione tra bene e male, grazie al quale il regista costringe lo spettatore a giustificare entrambe le parti: la copia si libera con un atto malvagio in sé, ma chi non avrebbe agito allo stesso modo? Poi procrea e si rivela capace di amare. Al contrario la vittima innocente cova vendetta e scatena il male. Ad essere sottolineata è l’impossibilità di trovare il colpevole, di puntare il dito, ed in tempi in cui l’immigrato (e si ritorna al Messico) è la causa dei mali, questo non è un messaggio affatto banale. Infine il ballo, l’arte per parlare e raccontare la propria storia: i cloni vogliono uscire allo scoperto per dimostrare che in essi non vi è meno umanità, nessun motivo che li costringa a restare in esilio, destinati a ripetere meccanicamente, ma con difetto, azioni di altri. Una grande dimostrazione di gruppo per affermare la propria dignità.

 

In tutto ciò, Jordan Peele accenna molti altri temi sociali, dalla nuova posizione della figura femminile nell’ambito familiare alla “rivoluzione nera”, ovvero l’operazione culturale, iniziata sin dal suo primo lavoro, volta ad abituare lo spettatore a vedere film con cast composti (quasi) interamente da attori di colore, senza che tale scelta debba essere giustificata. Noi finisce per sorprendere tutti, dando agli attori la possibilità di sperimentare in ruoli doppi, tra i quali a spiccare sono le performance di Lupita Nyong’o ed Elisabeth Moss; la colonna sonora e molte trovate scenografiche (fra tutte gli specchi hitchcockiani e l’uso dei conigli) sono di forte impatto e nel finale il montaggio è magistrale, quasi concettuale, accentua il pathos e accompagna il pubblico verso una conclusione nella quale la tensione è gestita molto bene.

 

Tirando le somme, la nuova opera dell’autore di Scappa – Get Out è molto inquietante, soprattutto in relazione al messaggio che vuole trasmettere, gioca in modo intelligente con gli stilemi ed i cliché del genere, a tratti diverte e prende in contropiede anche grazie ad un colpo di scena che poteva essere scontato, ma viene mascherato alla perfezione fino all’ultimo.

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