Espandi menu
cerca
Colazione da Tiffany

Regia di Blake Edwards vedi scheda film

Recensioni

L'autore

Antisistema

Antisistema

Iscritto dal 22 dicembre 2017 Vai al suo profilo
  • Seguaci 56
  • Post -
  • Recensioni 631
  • Playlist 3
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Colazione da Tiffany

di Antisistema
9 stelle

Credo che volenti o nolenti Colazione da Tiffany sia, a distanza di oltre 50 anni dalla sua uscita, uno di quei pochissimi film pre-anni 70' che chiunque conosca almeno per sentito dire e tutt'ora nel nostro paese gode di ottima fama anche grazie alle ripetute repliche su Rete 4 che ogni anno riceve e credo proprio che anche nel 2018, così come negli anni successivi, tale tradizione continuerà imperitura. Non si contano i bar che portano il titolo del film nel mondo, le immagini dell'attrice protagonista che spopolano sui social network (e vallo a spiegare che stanno ad inneggiare un personaggio dalla professione poco raccomandabile) e l'enorme giro di merchandising su cui le giovani adolescenti coatte ci si buttano; il cappello di Audrey, la borza di Audrey (si rigorosamente con la “z” come una brava borghese tamarra che si rispetti la pronuncia), gli occhiali fighi, il tubino nero etc… in sostanza un commercio di oggetti che praticamente lambisce la sola superficie di questo magnifico film e che purtroppo fa' capire come il messaggio anti-consumista e anti-capitalista che il regista Blake Edwards voleva lanciare, non sia stato capito dai più. Andiamo con ordine però è cerchiamo di analizzare perché questo film a distanza di decenni comunque riesca ad affascinare anche le nuove generazioni.

 

Audrey Hepburn

Colazione da Tiffany (1961): Audrey Hepburn

 

La storia è molto semplice; Holly Golightly (Audrey Hepburn), svolge il mestiere più antico del mondo e conduce uno stile di vita molto libertino, fregandosene delle convenzioni sociali. Un giorno nel palazzo in cui vive, si trasferisce un giovane scrittore, Paul Varjak (George Peppard), che segretamente si guadagna da vivere facendo l'amante di una ricca signora borghese (Patricia Neal). Ben presto i due protagonisti attraverso vari incontri e vicende, scopriranno di avere molto in comune.

 

 

Trama oramai nota e stranota a distanza di anni ed infatti l'interesse del film più che nella storia, risiede fondamentalmente in tre cose; la perfezione della regia di Blake Edwards, i sottotesti sociali dello sceneggiatore Axelrod e la grazia di Audrey Hepburn. Blake Edwards sino ad allora aveva fatto di rilevante solo il film Operazione Sottoveste e la Paramount gli affida la regia di questo film solo perché registi di prima fascia come Zinnemann, Wilder o Mankievickz, erano impegnati altrove. La casa di produzione pensa che sia un onesto mestierante ed invece Edwards ha personalità da vendere e riesce ad imporre la sua visione sull'opera, scegliendo di far emergere la sua visione più che nell’intreccio, nello sviluppo ed evoluzione dei singoli personaggi concentrandosi su di loro. Colazione da Tiffany a dispetto delle apparenze è un film d'autore in tutto e per tutto, perché non si è tali per la tipologia di film che si girano, ma per via del modo in cui ci si approccia alla materia in questione. La messa in scena sofisticata di Blake Edwards la si intuisce sin dall'inizio del film, dove in appena due minuti e mezzo, con l'ausilio di sole due macchine da presa, un'attrice, un eccellente direttore della fotografia (Planer) e la soave colonna sonora di Henry Mancini, riesce con una semplicità disarmante a mettere in chiaro sin da subito il tono del film (settato su una commedia un po' amara con venature malinconiche) e a consegnare l'immortalità cinematografica ad Audrey Hepburn (e di conseguenza anche il film). Siamo in una costante sospensione tra un’atmosfera sognante (numerosi sono i primi piani della protagonista e nonostante tale tecnica, si ha l'impressione che non potremo mai capirla sino in fondo) e l'amara quanto dura realtà. Edwards usa il linguaggio ed i canoni della commedia romantica, per fare un'analisi esistenziale sui rapporti umani, utilizzando i due protagonisti per farne dei veicoli della sua personale poetica concernente la dicotomia tra essere-apparire e verità-menzogna. Paul si definisce scrittore (ma Holly subito si accorge che sta mentendo), ma in realtà è un fallito che fa' l'amante di una ricca signora borghese dalla cui figura è totalmente dominato (Patricia Neal con quei suoi zigomi alti e pronunciati è perfetta per il ruolo). Su Holly la questione è più sottile, in apparenza è una donna a cui frega zero dei giudizi altrui sulla sua persona e sembra vivere in un costante flusso vitale incurante delle regole e delle convenzioni sociali. Come direbbe Pirandello è una pazza (come viene costantemente etichettata da vari personaggi) che avendo capito il gioco della vita, decide di non cristallizzarsi in alcuna forma e non avere una vita affettiva stabile. In tutto questo ci aiuta il simbolismo del gatto senza nome che vive con lei, del quale la ragazza non vuole riconoscersi come proprietaria dandogli un nome, perché anche lei non vuole appartenere a nessuno. Gatto senza nome, vita sgretolata e appartamento senza mobili (la vasca da bagno che funge da poltrona è tagliata a metà) nascondono una realtà esistenziale pietosa e squallida. Holly molte volte è in preda a paure che neanche lei sa’ da dove originano e pensa di calmarsi correndo da Tiffany (chiaro non-luogo che simboleggia il materialismo e l'apparenza del capitalismo) vedendo la vetrina dei gioielli. In realtà la nostra protagonista non è altro che una rincoglionita che ha proiettato tutta la sua felicità nel lusso dei gioielli di Tiffany e che il vero problema è il suo enorme vuoto derivante dal fatto di non avere un'identità in cui riconoscersi. Holly e Paul all'apparenza così diversi, hanno molto in comune alla fine e non a caso entrambi a poco a poco si avvicineranno sentimentalmente sempre più e troveranno in questo modo una forma in cui identificarsi. C'è da dire che Blake Edwards è geniale come regista e riesce sempre a sorprendere lo spettatore con le sue trovate; in primis la festa a casa di Holly dove ci si ritrova in una gigantesca e caotica sciarada ingarbugliata di persone altolocate su cui il regista fa' ampia satira sulla società americana. Un campionario di esseri bizzarri che sono tutta apparenza (divertente il tizio che parla con una benda che gli copre l'occhio e che si scoprirà del tutto inutile) e moralità per poi lasciarsi andare in una bolgia caotica di vizi deprecabili.

Tutti indossano delle maschere in sostanza e non solo fisiche come ad un certo punto del film faranno i nostri protagonisti, ma anche metaforiche; e solo nel chiuso dell’antro delle scale, i nostri due protagonisti si mostrano all'altro per quello che sono veramente e si lasciano andare ad un dolce quanto tenero bacio. Grande merito della regia è non scadere mai nel melenso o nello stucchevole con il romanticismo ed Edwards gestisce alla perfezione anche i dialoghi asciugandoli da ogni possibile caduta nel sentimentalismo spicciolo. Alle parole complicate o alle costruzioni elaborate, si può dire che il regista preferisca l'essenza della semplicità e non ci si può non emozionarsi genuinamente sentendo la nostra Holly cantare Moon River sul retro della casa, svelando per la prima volta l'anima più pura ed autentica del personaggio (bravo Blake Edwards ad imporre che la voce dovesse essere proprio quella di Audrey Hepburn; ogni incertezza nel tono della voce ci fa' sentire il personaggio più vicino).

 

 

Che si può aggiungere su questo capolavoro? Penso nulla, è un film eccezionale e degno della fama che lo precede. Audrey Hepburn (che si ritrova qui solo perché Marylin Monroe rifiutò la parte per via del personaggio e neanche l’attrice inizialmente voleva interpretarlo... In sostanza una prostituta che non fosse negativa, al cinema nel 1961 nessuno voleva farla!) più iconica che mai, è autrice di una perfomance che trasmette tutta la fragilità, il dramma, la felicità e le nevrosi di questo personaggio (una prova recitativa totale) che in ogni decennio ha qualcosa da dire. Se negli anni 60' Holly è un contro le convenzioni sociali, negli anni 70' è l'emblema della rivoluzione sessuale, negli anni 80' il simbolo dell'arrivismo e del materialismo sfrenato, mentre negli anni 90' e in tempi odierni è portatore della perdita della propria identità in un mondo che cambia troppo velocemente. È un film character driven come si dice, se non piace il personaggio il film non piacerà mai pienamente del tutto. All'epoca ebbe 5 nomination all’Oscar (tra cui anche miglior sceneggiatura), e ne vinse 2 per miglior canzone e colonna sonora. Audrey Hepburn perse contro Sophia Loren, ma non se ne ebbe troppo a male… d'altronde anche se non lo sapeva, raggiungerà un traguardo che altrs sue colleghe che avevano vinto più premi di lei si sogneranno la notte; cioè l'immortalità cinematografica. Nonostante non sia minimamente la sua miglior perfomance, d'ora in poi la Hepburn non sarà più la principessa Anna di Vacanze Romane o Sabrina; ma diventerà per sempre Holly Golightly che passeggia innanzi alla vetrina di Tiffany sorseggiando una bevanda e consumando dei dolcetti Danesi; l'icona femminile più famosa del cinema Americano del 900', insieme alla gonna bianca di Marylin Monroe che si alza sulla grata per via del vento.

 

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati