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Bashù, il piccolo straniero

Regia di Bahram Beizai vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Bashù, il piccolo straniero

di sasso67
10 stelle

Bashù, il piccolo straniero è uno dei capolavori della cinematografia iraniana, girato nello stesso periodo in cui Kiarostami lavorava ad un altro piccolo immenso film, come Dov'è la casa del mio amico? (le due opere da noi uscirono, con singolare sincronia, giusto vent'anni fa, nel 1991). In questi film colpiscono, accanto alla poesia che scaturisce spontanea dalla totale comunanza - che in qualche parte del mondo ancora esiste - tra uomini e natura, non meno le sagome, i volti, le espressioni degli adulti e soprattutto dei bambini. Il piccolo Bashù è un iraniano di etnia e di lingua arabe, che vive nell'area del paese che dovrebbe essere la più ricca, grazie ai giacimenti di petrolio. Proprio per questa ragione, però, si tratta della zona contesa tra i due Stati, durante la sanguinosa guerra tra Iran e Iraq (1980-1988). E in un bombardamento dell'aspra contesa, il ragazzino ha perso la madre, arsa tra le fiamme provocate dagli ordigni, il padre, sprofondato insieme alla propria casa, la scuola, incluso il maestro. Nascostosi a bordo di un camion commerciale, Bashù fugge lontano dalla guerra, nella regione interna dell'Iran, l'antica Persia. E, per caso, approda nei pressi della casa colonica dove vive Naii, una donna che da sola tira su i due figlioletti, poiché il marito è lontano per cercarsi un lavoro che lo faccia tornare a casa pieno di soldi. La donna rifocilla e accoglie Bashù, nonostante che questi, spaventato, si comporti come un animale selvatico (ma figuriamoci se ciò spaventa Naii, abituata a parlare con le aquile); e la donna decide di tenerlo con sé come un terzo figlio, nonostante la contrarietà che le viene dimostrata dai parenti e dai compaesani. Addirittura il medico del villaggio, visto il colore scuro della pelle di Bashù, si rifiuta di curarlo perché, dice, «le mie medicine con i negri non funzionano». Alla fine, questa parabola panteista (che in effetti piacque poco al regime khomeinista) ed antirazzista ha, a suo modo, un lieto fine: tornato a casa il marito di Naii, senza soldi e senza un braccio (il mestiere che faceva, da emigrato, era quello delle armi), Bashù, che nel frattempo ha lavorato nei campi per la nuova mamma ed ha aiutato i nuovi fratellini, viene accettato dalla famiglia e dal villaggio. Il bambino vede il marito di Naii come suo padre, uscito mutilato ma vivo dalla stessa guerra che aveva inghiottito la sua famiglia. E l'uomo vede in Bashù, oltre che un terzo figlio, non più un'ulteriore bocca da sfamare, ma il braccio che ha perduto in battaglia e, ancora di più, un reduce della medesima guerra. Notevole la prova di Susan Taslimi, un'attrice talmente espressiva, da far rimpiangere il fatto che non sia stata vista più spesso sui nostri schermi.

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