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Festa per il compleanno del caro amico Harold

Regia di William Friedkin vedi scheda film

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La recensione su Festa per il compleanno del caro amico Harold

di maso
10 stelle

La prima vera gemma nella filmografia di Friedkin è tratta da una pregevolissima pièce teatrale di Mart Crowley, gli attori che impersonavano the boys in the band sul palcoscenico sono gli stessi impressionati sulla pellicola da Friedkin che si prese però una licenza di non poco conto, causa di diversi contrasti con l'autore della matrice teatrale ed ancor più con le comunità omosessuali che conoscevano a menadito la pièce: la totale assenza di humor che era parte integrante della rappresentazione sacrificato in nome di un tono amarissimo ma mai critico nei confronti di questo microcosmo di nove uomini con una indole diversa che rispecchiano ognuno a loro modo una maniera di vivere, ostentare o nascondere la propria omosessualità.

Un brevissimo prologo senza parole in cui li vediamo districarsi nelle loro occupazioni giornaliere è il solo scorcio in esterni compreso nel film, terminati i credits iniziali il tutto si sposta da Manhattan nell'appartamento di Michael in cui avrà luogo il party e dove verrà festeggiato il compleanno di Harold, sono proprio loro a rappresentare gli estremi della comitiva, le due facce di una stessa medaglia poiché il primo vive male la sua condizione ostentando una sicurezza solo apparente ma in realtà l'affezione per la bottiglia denota una fragilità che scaturisce proprio dall'impossibilità di avere una vita normale che può solo sognare mentre Harold pur essendo più vulnerabile visti gli evidenti punti deboli come la religione ebraica, le movenze effeminate, il volto butterato e la lingua tagliente sembra essere più stabile caratterialmente del suo caro amico Michael che forse in passato ha anche amato come la dolce marijuana ma ora non risparmia da una analisi cinica e spietata, sul bordo della medaglia esattamente a metà fra i due c'è Alan, un vecchio amico di Michael di passaggio a New York che gli ha chiesto ospitalità perché in crisi con la moglie e turbato da qualcosa di imprecisato che agli occhi di chi osserva sembra essere la presa di coscienza di una omosessualità da troppo tempo sopita, anche per lui Harold ha qualcosa da dire ma essendo un perfetto sconosciuto la battuta è più che mai spontanea, tagliente e assolutamente memorabile per come spacca in due il film.                  

Gli altri boys in the band sono l’effeminatissimo Emory e il nero Bernard, la marchetta Cowboy che è il regalo di compleanno per Harold e il riflessivo Donald oltre a Hank e Larry che hanno una relazione nonostante il primo sia sposato con figli e che il secondo lo affligga continuamente con la sua indole che esprime senza inibizioni la propria fiera diversità, in questo campionario minuziosamente descritto da Friedkin che si attacca ai personaggi come un adesivo al suo riquadro si infila come una spina fra le carni l’elemento di disturbo Alan con la sua dichiarata eterosessualità traballante e malaccetta da molti, tanto che il tono disteso dell’inizio serata verrà improvvisamente ribaltato dall’acquazzone inatteso che porterà i ragazzi a rinchiudersi in uno stanzino e massacrarsi in un gioco della verità spietato che si snoda attraverso il telefono sovraccarico di anomala tensione non prima che il tanto atteso Harold sia giunto alla festa in ritardo sui tempi prestabiliti come una soubrette al di sopra delle parti al corrente dell’esito del concorso senza il bisogno di partecipare, in realtà il vero festeggiato è proprio Alan attaccato e messo a nudo da Michael che conosce i lati oscuri del suo passato e dell’amico comune Justin, deriso da Harold che non ha dubbi nei suoi riguardi, stuzzicato da Emory che ha la valenza di uno specchio deformante per il finto ingenuo Alan, lusingato da Hank con il quale instaura un dialogo apparentemente etero implacabilmente fustigato dagli attacchi di Larry incapace di trattenere una ovvia gelosia mescolata al disprezzo per una figura né troppo chiara né troppo scura.

Friedkin si muove in un fazzoletto di terra sviscerando tutto il possibile sull’argomento: ha voluto dare forma non solo ad un film omosessuale o sugli omosessuali ma soprattutto a un film sulla mancanza di amore e sulla capacità di accettare il proprio io e conoscere se stessi fino in fondo, invece di stilare un resoconto nudo e crudo sull’essere diversi in ambito sessuale ha preferito giocare d’azzardo creando una suspance da film thriller attraverso la fitta rete di relazioni fra le nove facce del dado tenute insieme da un copione puntualissimo, intelligente, accattivante che si lascia ascoltare fino all’ultimo istante, fino al crollo emotivo di Michael che è il vero protagonista della storia ed il portavoce di una verità comune per tutti i boys in the band.

La riuscita del progetto si deve alla perfetta integrazione fra il copione e la direzione di Friedkin che ha trovato nel cast a sua disposizione il terminale perfetto per dare voce a questa idea di rappresentare l’universo del diverso che non ha perso minimamente il suo mordente anche se parecchia acqua sotto i ponti è passata dalla sua uscita, ci hanno invece lasciato tanti suoi protagonisti colpiti dallo stesso destino: Kenneth Nelson intensissimo nel ruolo del mastro di cerimonia Michael, Frederick Combs nel ruolo dell’affettuoso e un po’ malinconico Donald, Robert La Tourneaux perfetto nella parte dell’uomo oggetto “Midnight cowboy” riproposto dopo che John Voight nel premiatissimo film omonimo di Schlesinger era diventato una icona per la generazione ribelle del post sessantotto, Keith Prentice nel ruolo dell’aggressivo Larry che non ha nessuna inibizione nel manifestare il suo modo di essere gay e Leonard Fray che avevo già ammirato nel ruolo del timido sarto Motel in “Il violinista sul tetto” mentre qui incarna magistralmente lo spietato ed attesissimo Harold con la sua entrata architettata splendidamente da Friedkin nella scena di volta del film, alcuni neanche quarantenni altri più avanti con l’età sono stati colpiti inesorabilmente dal virus dell’AIDS segnale indiscutibile di come le loro interpretazioni fossero delle manifestazioni appassionate della propria interiorità, del proprio essere diversi.

"The boys in the band" non è un film per soli uomini ne per uomini soli, non è un film solo per gli omosessuali, è solo un film perfetto ed amaro che spiega molte cose di non facile argomentazione.

La colonna sonora

Quando sento "The look of love" di Burt Bacharach penso sempre che valga la pena di campare un minuto di più per ascoltarla ancora.

Cosa cambierei

Nelle sequenze iniziali che ci introducono i personaggi omaggiando la New York da bere potrete notare la due volte Bond girl Maud Adams nei panni di se stessa mentre posa davanti all'obiettivo del fotografo professionista Larry.

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