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Face/Off

Regia di John Woo vedi scheda film

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Eric Draven

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La recensione su Face/Off

di Eric Draven
8 stelle

 

di Stefano Falotico

 

Face/Off

 

Due facce di una medaglia che combacia

con le incrinanti sfumature variegate

 

Da Terminator 2 in poi, l’effetto digitale chiamato morphing diventa sempre più sofisticato. Il morphing, come molti di voi sapranno, è quella tecnica che prende spesso due volti come campioni di partenza e gradualmente, partendo dal primo, con progressività più o meno rapida, trasforma l’uno in quello dell’altro, due (ri)tratti somatici che, specularmente, finiscono con il coincidere. La trasmutazione di una identità nell’altra, per ottenere il risultato finale di un gioco ottico fascinoso. Qui il grande John Woo addirittura si spinge oltre. Cioè, sceglie due attori di vaga somiglianza estetica, pressoché identici a “corporeità” dei loro occhi azzurri con riflessi cangianti al verde acquoso, John Travolta e Nicolas Cage, e li “sovrappone” per tutta la durata del film.

 

Dalla prima inquadratura all’ultima, perché la trasformazione, a cui poi assisteremo, invero s’origina sin dall’incipit. L’agente dell’FBI Sean Archer (Travolta) si trova in un parco giochi assieme a suo figlio piccolo. Da anni è aperto un contenzioso nei confronti del ricercato terrorista Castor Troy (Cage). Questo lo apprenderemo dopo. Intanto Castor, appostato in postazione “segreta”, desideroso di uccidere colui che gli dà irrefrenabilmente la caccia, Sean Archer appunto, imbraccia la sua arma da fuoco e prende la mira. Ma, per un errore di calcolo e una mossa imprevista del figlio di Sean, anziché ammazzare il suo predatore, ucciderà involontariamente il bambino. Da allora, il duello fra i due diventa ancora più esplosivo e tragicamente assume contorni quasi epici di natura dostoevskijana. Infatti Castor, pur essendo un incallito bastardo, è come se avvertisse, nella sua anima sino a quel momento spietata e marchiata dalla più efferata crudeltà, un sempre maggior latente complesso di colpa.

 

Essersi coperto dell’unico crimine che, nonostante quel che irredento lui è, lo perseguiterà per tutta la vita: l’assassinio di un innocente.

Dopo l’ennesimo pedinamento da parte dell’FBI, Sean e Castor “colluttano” violentemente in una sparatoria da eterni sfidanti. Castor non muore per “miracolo”, ma cade in coma. Nel frattempo, però, i minuti trascorrono e la minaccia di una strage imminente corre sempre più in “dirittura d’arrivo”. Castor, infatti, aveva già piazzato una bomba batteriologica in un posto sconosciuto, e di questo dettaglio è a conoscenza solo suo fratello. Qui il film devia da un normale action-thriller da consueti canoni hollywoodiani, e divampa in una sorta di anomalo, mai visto prima horror metafisico. Perché, come in una storia ai confini dell’incredibile, un’equipe chirurgica da laboratorio del Dottor Frankenstein propone a Sean uno strano, rivoluzionario esperimento.

 

Gli viene rivelato che alcuni specialisti di medicina hanno elaborato un’empirica tecnica che sarebbe in grado, se accettasse, di poter cambiare esattamente il suo corpo, “per filo, per segno” e per sutura, in quello del suo nemico, Castor. In modo tale che, essendo Castor in coma, possa intanto sostituirsi fisicamente a lui per estorcere, da “infiltrato” dunque più insospettabile, le informazioni dal fratello, Pollux.

Sean, dopo un’iniziale, comprensibile titubanza, accetta la proposta “indecente”.

Però, i “buoni” non hanno calcolato un leggero particolare: il possibile risveglio dal coma di Castor. Purtroppo, Castor invece si sveglia e obbliga i medici a sottoporlo allo stesso intervento. E adesso, non solo i due corpi sono uno in quello dell’altro, ma le loro vite s’invertiranno “integralmente”. Sean è costretto a spacciarsi per Castor non solo d’aspetto estetico ma, obbligato dalla bizzarra, avveniristica circostanza, ad imparare i comportamenti del cattivo. Mentre Castor, a sua volta, dovrà fingere dentro e a se stesso di essere dalla parte del bene, vivendo la vita “normale” di Sean, che è sposato con moglie e figlia come ogni bravo cittadino.

In quest’incrocio di fisiognomici destini incrociati, scatta la dinamite del Cinema superbo di John Woo.

Che non solo utilizza ancora la sua finissima maestria per allestire i balletti coreografici degli scontri a fuoco per cui è diventato celebre in Oriente, ma imbastisce una danza di due anime che finiranno con lo “sfumarsi” ambiguamente nei pregi e peccati vicendevoli.

Elevando la mera trama “fantascientifica” a sorprendente dinamica quasi biblica dell’eterno scontro dualistico, duellante fra bene e male, intessendo il suo apparato diegetico di non poche profonde riflessioni, più o meno esplicite, su uno dei temi universali dell’umanità.

Quando si confondono le carte, e s’impara a “vivere” anche emozionalmente la nostra nemesi-simbiosi, qui proprio incarnandocene, cosa è davvero bene o cosa è male?

Forse, nei suoi film orientali, Woo aveva espresso miglior sfoggio delle sue notevoli, inusuali capacità stilistiche, organizzando strepitose sparatorie possibilmente ancor più sofisticate e ingegnose, ma Face/Off, proprio in virtù dell’originale, intrepido intarsio dell’intreccio, è, credo, il primo vero capolavoro d’azione con una tematica alla base così potente e matura.

Deflagrazione abbinante impegno e raffinato divertimento.

Tutti gli attori concorrono a decretare la perfezione della pellicola. Dai “comprimari” ai due protagonisti, naturalmente, nelle loro rispettive due migliori interpretazioni degli anni ’90.

Travolta, resuscitato da Tarantino con Pulp Fiction, sigilla la prova del nove a dimostrazione che è, se diretto da mani esperte, un grande performer.

 

Nicolas Cage, dopo Via da Las Vegas, conferma la sua indiscutibile bravura quando si trova a interpretare personaggi “al limite”, eccessivi, caricati, debordanti ma melodrammatici, distrutti nell’anima.

 

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