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Rosso

Regia di Benjamín Naishtat vedi scheda film

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La recensione su Rosso

di alan smithee
7 stelle

CINEMA OLTRECONFINE

Venti minuti memorabili segnano l'inizio di una disputa che comporterà una assunzione di responsabilità gravissima, ed una presa di coscienza su un comportamento omissivo ed oculatamente e codardamente volto a coprire i misfatti di un regime in procinto di manifestare tutti gli spettri e le negatività di una dittatura imposta con il sangue e la prevaricazione.

Tutto inizia con una banale litigata sulla disputa di un posto a sedere in un ristorante assai frequentato, entro cui si siede, in attesa della moglie in ritardo, uno stimato avvocato cinquantenne. Un uomo, in evidente stato di alterazione, lo avvicina e polemizza subito con modi infastidenti sulla circostanza che egli usurpa gli aventi diritto di un posto senza fruire di un pasto. L'avvocato finirà per cedergli il posto, ma non senza avergli palesato un ragionamento che, da bravo avvocato navigato di arringhe ben condotte, porta l'invadente ospite a provare vergogna per quel suo atteggiamento prepotente ed indisponente.

Finiranno per scontrarsi all'aperto, come in un duello d'altri tempi, nel buio di una strada secondaria, ove lo strambo individuo tirerà fuori all'improvviso un revolver, inizialmente proteso a minacciare il nostro avvocato e la consorte, per poi puntarsi l'ordigno al volto e spararsi in volto. Non morirà, ma verrà lasciato al suo destino in un deserto che proprio in quegli anni iniziava a divenire macabro teatro adibito clandestinamente, ma nemmeno troppo, a destinazione terrena finale di molti oppositori di un regime oppressivo intollerante contro ogni tipo di opposizione. Ci troviamo in Argentina, nel 1975, nel periodo immediatamente precedente l'insediamento del regime dittatoriale a mezzo del colpo di stato del 1976.

Inizierà, da quel momento, per il nostro avvocato, un percorso duro e sofferto di presa di coscienza contrassegnato dall'emergere di lancinanti sensi di colpa che, dapprima, parevano esulare da ogni presa di posizione dell'uomo, che, grazie al suo atteggiamento neutrale ed omertoso, era riuscito sempre puntualmente a garantirsi una posizione di rilievo all'interno di un sistema autoritario che, proprio in quanto tale, non prevedeva l'esistenza di alcuna opposizione di sorta. 

"Rojo", ovvero rosso, come il sangue versato dalle migliaia di vittime fatte scomparire per sempre dall'affetto dei propri cari per il solo particolare di essere riconosciute come non simpatizzanti del sistema, viene qualche anno dopo il potente esordio del 2014 con History of fear, e ci fa ritrovare l'ottimo cineasta Benjamin Naishtat impegnato a raccontare un singolo episodio incentrato su una sofferta presa di coscienza tutta poggiata sulla finezza interpretativa dell'ottimo attore argentino di evidenti origini italiane Dario Grandinetti, noto ai più per due sue splendide interpretazioni in parla con lei e Julieta, entrambi di Pedro Almodovar.

Molto azzeccato anche il ruolo da "voce della coscienza", rappresentato nel drammatico finale dalla apparizione del grande attore cileno Alfredo Castro, reso star grazie ai personaggi interpretati nelle pellicole di Pablo Larrain.

 

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