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Porzûs

Regia di Renzo Martinelli vedi scheda film

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Piemas1

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La recensione su Porzûs

di Piemas1
6 stelle
Anni dopo, nel 2012, il regista si sarebbe reso conto sulla sua pelle col mediocre Barbarossa, che piegare la narrazione storica (specialmente quando si tratta di molti secoli fa) poteva essere controproducente. Non era scontato che, dopo il Mel Gibson di Bravehart, tutti riuscissero nell'intento. In quel caso, come in 11 settembre 1683, il risultato fu un mediocre pastiche involontariamente umoristico e rumorosamente baracconesco, ad onta di buone riprese.
Tuttavia, vi è una differenza: quei film li potemmo vedere, giudicare e condannare, anche se, parlando di Martinelli, l'ombra del (pre)giudizio si allunga sempre sulle sagome di certi "interpreti privilegiati" del pensiero dei cineasti che stanno, come dire, "dalla parte giusta".
Porzus, invece, no. Non solo non potemmo giudicarlo, al tempo, come film, aldilà di un messaggio politico che una propaganda di "chi sa tutto ma non ha visto" dichiarava falsamente come anticomunista Tout-court ....non potemmo proprio vederlo. Perché Qualcuno, confondendo gli scranni di Montecitorio con gli uffici del Politburo  , decise così. Qualcuno, o meglio Qualcuna che gli uffici dei grigi funzionari dell' URSS li conosceva anche grazie a certe "migliori" frequentazioni, come era a suo agio con lo scranno più alto di Montecitorio.
Per finire il discorso e uscire un attimo fuori dal seminato, fa sorridere pensare che gli avversari di Martinelli lo abbiano accusato di sperperare il denaro pubblico avuto dalla RAI per questo film e per i due suddetti polpettoni pseudostorici costati 20 milioni di euro e rivenduti regolarmente in molti paesi (quindi, costo rientrato). Quando, nel 2009, cadde la censura, l'edizione in DVD di Porzus allegata a PANORAMA fu vendutissima, e i suddetti tronfi polpettoni furono prevenduti, lo ripeto,  in molti paesi stranieri, con rientro dei costi. Si può dire cosa uguale per Dimenticare , Palermo (30 miliardi di lire) di Francesco Rosi, o di Alex l'ariete di Damiano Damiani, o del mitico mutande pazze di Roberto D'Agostino? Qualcuno di tali soloni del risparmio ha chiesto conto di tali fiaschi? O costoro erano "dalla parte giusta"?
Detto ciò, è un film con pregi e difetti. Ha il merito di aver proposto un diverso modus narrandi, sfidando convenzioni dure a essere discusse e non perciò esaltando il fascismo. E lo fa usando la macchina da presa con una perizia tecnica allora poco ricorrente da noi (1997). Viaggiando con le gambe veloci dei protagonisti, in fulminee carrellate o con dolly nervose e svelte. Rendendo, insomma, con maestria l'incorrere violento dei fatti tristi di quei giorni.
Ma è proprio la camera in azione a mettere in luce pure i difetti. Quando essa inquadra gli attori, si vedono le differenze di talento. Cavina, Capolicchio, i grandi vecchi Ferzetti e Moschin, persino Cederna, superano di molto la prova, e puranche Bonetti non sfigura, così come Ghislandi e la Boschi che pare sottorecitare. Ma Flaherty e soprattutto Crespi hanno l'espressività di una melanzana, tra inflessioni dialettali discordanti (Crespi con l'accento siciliano, il suo omonimo da vecchio Moschin che parla in veneto stretto), e resa della profondità dei personaggi uguale a zero. In un film che, in nome di quella libertà espressiva invocata dai suddetti soloni pro domo sua , andava comunque fatto uscire e va recuperato
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