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Nella società degli uomini

Regia di Neil LaBute vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Nella società degli uomini

di degoffro
7 stelle

Confesso che personalmente un film come “Nella società degli uomini” mi fa paura. E’ infatti spaventoso pensare che ci siano in circolazione (e ci sono purtroppo!!!) uomini meschini, egoisti, squallidi, volgari e abietti come Chad, abili nell’arte del manipolare, ingannare, in una parola, fottere per il puro piacere di farlo, procurando inutili e gratuite sofferenze agli altri (“Perché Chad?” chiede nel finale l’ingenuo amico Howard. “Perché potevo!” è la sintetica e feroce replica di Chad). Aaron Eckhart, in una delle sue interpretazioni più riuscite e mature (in futuro raramente avrà a disposizione ruoli così taglienti) con il suo sguardo ora seducente ora bastardo, ora sornione ora sprezzante, è strepitoso nell’interpretare il vanesio e presuntuoso protagonista, uno che, facendo leva sul suo ruolo ma anche sul suo fascino ed abusando in modo sfacciato ed insolente della sua posizione riesce a far sentire chiunque gli sta intorno – passatemi la volgarità - una merda (emblematica la sequenza del colloquio quando al giovane collega in lizza per una promozione chiede subdolo e disinvolto - e non metaforicamente - “Fammi vedere le palle!”). Neil LaBute (questo è ancora il suo titolo migliore) trae la sceneggiatura da una sua commedia teatrale e confeziona un film cinico, amaro e sarcastico, dai dialoghi velenosi e corrosivi (La differenza fra il punto G e una pallina da golf? Quando cerchi la pallina da golf ti diverti”), dalla messa in scena algida, essenziale eppur graffiante, incisiva. Nel raccontare il diabolico e beffardo piano messo in atto da due manager frustrati (“Che voglia di prendere qualcuno e distruggerlo. Dobbiamo ricominciare a farci valere subito. Non perdere mai il controllo. E’ questa la chiave!” dicono all’inizio) desiderosi di “restituire un po’ di dignità alle nostre vite, un sollievo molto terapeutico per rifarci delle donne che ci hanno scaricato” e per questo pronti a sedurre contemporaneamente una graziosa e timida ragazza sorda, dattilografa in una filiale dell’azienda in cui lavorano e dove sono stati mandati in trasferta per sei settimane per poi scaricarla (“Ci stiamo dividendo una sbavona” ironizzano) il regista, pur non esente da alcune facili scaltrezze, offre uno spaccato sconsolante, caustico e crudele di una società arrivista e moralmente riprovevole, per lo più governata da relazioni fasulle e pericolose ma soprattutto da opprimenti, gretti, infimi ed annichilenti rapporti di forza e di potere (non solo tra uomini e donne ma anche tra uomini) in cui, riprendendo quanto dice Howard a Christine, durante un felice pomeriggio passato insieme, si è così abituati a dire quello che si pensa la gente voglia sentirsi dire che ci si dimentica, a volte, che può volere semplicemente la verità. E’ bravo il regista nel definire i due caratteri principali, rivelando tutta la sprovvedutezza, dabbenaggine e fragilità di Howard, a sua volta vittima inconsapevole delle misere bassezze messe in atto da quello che credeva un amico (dopo avere rivelato a Christine lo sporco gioco messo in atto con Chad, resosi conto di essersi innamorato della ragazza le dice sconsolato, quasi disperato “Io sono lo stronzo che ti vuole bene e tu ami lui!”). LaBute non fa sconti, non bara, non usa un moralismo spicciolo ed ipocrita, rivela con un certo calcolato cinismo, un pizzico di compiacimento, uno stile registico volutamente povero e una non troppo velata misoginia (Le donne? Dentro sono tutte uguali, carne, cartilagine e rancore”) ma anche con indubbia forza narrativa ed una sferzante mordacità la nostra impotenza ed inadeguatezza (in questo senso l’ultima scena, prima urlata poi “silenziosa”, è oltre modo significativa), mettendoci in più occasione a disagio, quasi a nudo e ricordandoci con brutale durezza e con disincantata ed atroce lucidità che purtroppo “la vita è di chi ci sa fare!” In seguito il regista ha azzeccato davvero pochi titoli ma questo suo esordio al vetriolo conserva ancora una sua disturbante ed energica cattiveria. Detestato da molti/e, amato da altri, forse leggermente sopravvalutato, è un classico titolo da dibattito. Ed infatti le polemiche alla sua uscita, soprattutto in terra americana, sono state molteplici. A LaBute il furbo giochetto non uscirà altrettanto bene con il successivo mediocre “Amici & vicini”. Premio speciale della Giuria a Deauville, vincitore di due Independent Spirit Award (sceneggiatura di Neil LaBute, interpretazione di Eckhart), premiato anche al Sundance Film Festival.

Voto: 7

 

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