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Il ladro di Parigi

Regia di Louis Malle vedi scheda film

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La recensione su Il ladro di Parigi

di Baliverna
7 stelle

Nella prima scena Belmondo scavalca il muro di una villa con corda e arpione, ma si tratta solo di uno scherzetto al pubblico da parte di Louis Malle. Il suo film, infatti, è un dramma sottile e pacato, con uno stile asciutto, memore forse di Jean Pierre Melville.

Circola pochino questo film, benché sia diretto da Louis Malle e interpretato da un pezzo da novanta come Jean Paul Belmondo. Eppure, nessuno dei due delude lo spettatore; tuttavia, quanto al secondo, non offre le sue consuete acrobazie, e questo potrebbe scontentare i cultori del Belmondo stuntman di se stesso.

Il Mereghetti lo definisce “una commedia scanzonata”, ma secondo me ha ben poco di divertente, e ancor meno di scanzonato. È una di quelle pellicole che io definisco “tranquille”, nel senso che possiede un ritmo piacevolmente pacato, ma mai noioso. Secondo me, al contrario, si tratta di un dramma a tinte leggere, ed è il ritratto di un ladro che ruba perché ha preso il vizio, e non può farne a meno (come spiegato da lui stesso verso la fine). Un uomo ribelle alle convenzioni borghesi, che però simula quasi sempre di rispettarle, per essere accettato nei salotti e così curiosare nelle case dei ricchi, per scoprire dove tengono i valori. Usa modi da gentiluomo, ma disprezza i suoi interlocutori, fatta eccezione per i ladri come lui e per la donna di cui è innamorato. Questa, ahilui, è sua cugina di primo grado, e ciò toglie alla relazione molto del romanticismo e della passionalità che la stessa potrebbe avere. Il fatto che quel rapporto sfiori l’incesto, e per certi suoi accenti di attaccamento morboso più che di passione e di amore, conferisce al personaggio del protagonista un tono di ambiguità e di enigmaticità. Quanto alle altre donne, non le degna del suo amore; per lui sono solo dei passatempi sessuali da utilizzare di tanto in tanto. Di contro, verso di loro esercita un’attrazione magnetica, forse generata, paradossalmente, dal suo non volere amarle.

Solo verso la fine la pellicola conosce qualche lieve momento di stanchezza, ed oltre a ciò si lascia andare a qualche passaggio troppo cinico, quasi acido, rispetto al resto del film.

Convince l'interpretazione compassata e ingessata di Belondo, perché sotto l'imperturbabilità che si è imposto il suo personaggio, si intravvedono i suoi sentimenti, e a tratti persino la rabbia che gli cova dentro.

Per il resto, è una pellicola ben diretta e recitata, che ci rinfresca la memoria su un ceto modo di fare cinema di cui si è persa ormai la memoria: quella del non avere fretta, del non voler attirare l’attenzione a tutti i costi, ma dell’imporsi allo spettatore che la forza dello stile, a poco a poco.

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