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Il Corriere - The Mule

Regia di Clint Eastwood vedi scheda film

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La recensione su Il Corriere - The Mule

di SamP21
8 stelle

Dopo alcuni film (più o meno) riusciti, il vecchio e mitico Clint Eastwood ci e si regala un film-gioiello.

 

La trama in breve:

Earl è un anziano floricultore che con l’avvento di internet non adeguandosi alla rivoluzione digitale, vede fallire la sua impresa. Nel frattempo, aveva fallito anche come marito e come padre. Per guadagnare dei soldi si ritrova inizialmente a sua insaputa, a fare il corriere per il cartello messicano. Un poliziotto appena trasferito da Chicago indaga sul cartello.

 

Eastwood è ormai salito da tempo al rango di maestro, come i suoi padri cinematografici del resto: Don Siegal, Sergio Leone e John Ford. Dopo dieci anni, sceglie di mettersi ancora davanti alla (sua) macchina da presa, ormai alla soglia dei novant’anni e lo fa con un’idea precisa.

C’è il genere, ovvero un thriller atipico e dai ritmi bassi, c’è il road-movie e c’è il dramma nel film.

Earl è un tipico personaggio alla Eastwood che segue le sue dinamiche e i suoi percorsi di vita: fermo, impassibile, è un uomo senza misure e filtri, come ammette lui stesso nel bellissimo dialogo col poliziotto (Cooper). Non c’è nel film la voglia di elogiare la lentezza, c’è si una riflessione sul presente, l’importanza della tecnologia e sui cambiamenti sociali, come fecero prima di lui in tanti tra cui Siegal e Sam Peckinpah.

 

La regia e il montaggio seguono la vicenda con rara intelligenza, il film non scende mai di tensione o livello, pur seguendo un ritmo bassissimo, senza picchi, perché è altrove il senso di tutto. È nei dialoghi, è negli sguardi di Clint e nel racconto dell’umanità americana che il film fa la vera differenza.

 

Eastwood è saldamente ancorato ad una visione individuale e individualista della vita, un grande far west in cui non ci sono buoni e cattivi, non ci sono colori, ma solo persone con le loro etichette: Mangia fagioli, Lesbiche, vecchi ecc.

E allora non c’è una morale e non c’è razzismo, perché il tutto è visto alla maniera di un vecchio di 88 anni, che però si dimostra spesso più lucido di un qualsiasi trentenne, nel mostrare la violenza e la spietatezza dell’America di oggi (si pensi a quando fermano il ragazzo di origini messicane…)

 

L’individualismo però finisce ad un tratto di fronte ai problemi veri e personali e allora il ritratto di un marito e padre assente è di una dolenza ed efficacia come non si vedevano da anni e qui entra in gioco lo sguardo, il corpo quasi scheletrico e la presenza scenica di un Clint Eastwood che ci dona l’interpretazione della vita.

 

C’è il genere come detto. Si arriva alla fine del film con l’attenzione per quello che inevitabilmente succederà, ma non siamo in un film dei fratelli Coen, il Texas è selvaggio ma il vecchio Clint non è un cinico fino al midollo, punta ad altro, punta a lasciarci una riflessione sul tempo, sull’importanza di viverlo al meglio e allora torniamo a quella conversazione nel bar col poliziotto (un ottimo Bradley Cooper), in quella scena, che mi fa  venire alla mente le tante scene tipiche, uniche e imponenti del cinema di Michal Mann. In quella scena è racchiusa l’essenza di questo racconto individuale, ma che riesce a segnarci e donarci qualcosa.

 

Il vecchio Clint, con le sue idee apprezzabili o meno, ci dona un ennesimo ritratto di coerenza, un ritratto mai cinico ma comunque reale dell’America di oggi, dove le differenze contano e si fanno sentire per strade di ogni stato, soprattutto nel Sud. E poi c’è lui che canticchia e fa quello che vuole, da vero outsider, quasi come fosse un anarchico, con quello sguardo vitreo, con quegli occhi quasi chiusi, ti guarda e ti spara una sentenza sulla vita.

 

Con questo gioiello, che racchiude in sé tanta della cinematografia dello stesso Eastwood (da Gran Torino ad Un mondo perfetto), il nostro amato regista, sembra volersi congedare, consapevole del tempo che passa e stringe, ma il vecchio Clint in realtà è già post-produzione per il suo nuovo film e allora aspettiamoci ancora qualcosa da questo monumento del cinema contemporaneo, dalle idee rivedibili, ma strepitosamente coerente e cinematograficamente brillante fino all’ultimo.

 

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