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Il Corriere - The Mule

Regia di Clint Eastwood vedi scheda film

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La recensione su Il Corriere - The Mule

di kubritch
5 stelle

 

Eastwood é un'icona del Cinema e quando si raggiunge un tale status si diventa, come suggerisce la parola, sacri, tabù. Io oso, invece, dissacrare l'idolo pop, rapportandomi alle sue manifestazioni pubbliche senza un atteggiamento di devozione, ovvero, fanatismo (il male della nostra epoca), come farei con qualsiasi essere umano. Eastwood per me è solo un personaggio noto, che conosco attraverso i media, della cui psicologia ignoro quasi tutto. Premetto, ancora, che non condivido l'idea che l'arte debba essere veicolo di messaggi morali che sono sempre parziali e soggettivi poiché un racconto, per quanto, ispirato a fatti reali, è sempre una riduzione, incanalata nella prospettiva culturale di uno o di molti. Il Cinema di Eastwood non fa eccezione. E' un modo di pensare ben rappresentato anche dal film, per esempio, nella scena in cui il protagonista si intrattiene, al banco di una tavola calda, con il poliziotto e gli consiglia di non trascurare la famiglia. Questo film si rapporta al pubblico allo stesso modo come quelle confessioni da bar, tipicamente statunitensi, a cui ci hanno abituati in tanti film. I nordamericani si affidano molto al potere della comunicazione verbale e questo, nel cinema che è un linguaggio per immagini, è un difetto. Ritengo ingenuo pensare che basti un film o un discorso ben congegnato, per convincere la gente a comportarsi nel modo giusto. Deformazione retorica cristiana. A parte tutto, non si può comprendere il cinema di Eastwood se non si comprende il personaggio messo in scena. Eastwood, sin dal suo esordio, incarna una tipologia ben precisa di essere umano: quello che si fa da sé, mettendo in ellissi l'intera società umana, e dotato di pochi valori primari comprensibili a tutti. Un texano dagli occhi di ghiaccio, un genuino uomo del sud, un samurai senza padroni. Per esempio, non si pone il problema dell'uso delle armi, da buon cowboy le usa all'occorrenza, al servizio di un bene personale che accidentalmente, o se vogliamo, per una innata disposizione d'animo, diventa filantropico. Ad Eastwood interessa incarnare l'uomo comune poiché è a lui che si rivolge. Quanto sia credibile in questa veste dal suo piccolo stato privato, nutro dei dubbi confortati dalla visione dei suoi film. A completare la maschera di Eastwood concorre il tipico dramma del veterano di guerra, ingiustamente emarginato dalla società. Si capisce che la guerra è concepita col valore positivo di una palestra di scaltrezza, più che di vita, essendo poco proficua in termini economici e scarsamente efficace in termini sentimentali.

Siccome il fine è quello di trasmettere un messaggio, la forma è trattata come un mezzo. Perciò, il racconto ha il ritmo, facilmente riconoscibile, di un aneddoto, fatto di segmenti che si ripetono finché un imprevisto non rovescia la situazione. “La sai quella del vecchietto che faceva il corriere della droga? Il poveretto non aveva mai visti in vita sua tanti soldi tutti insieme. Guadagni facili che lo convinsero a ripetere l'esperienza, una, due, tre, quattro volte. Finalmente poteva aiutare familiari ed amici in difficoltà economica. Un giorno, però, durante una di queste trasferte, la moglie si ammala...” Anche i luoghi comuni relativi all'età avanzata del protagonista vengono sfruttati sapientemente come contrappunti umoristici (il rapporto con la tecnologia, il sesso con giovani prostitute, il linguaggio simpaticamente retrogrado...). La soluzione melodrammatica, spesso presente nel cinema di Eastwood, è un altro espediente narrativo per rafforzare la concezione morale. I nessi narrativi e i dialoghi sono intenzionalmente poco elaborati, proprio per favorire la comprensione immediata. Lo spettacolo è costruito in modo che lo spettatore si senta protagonista della scena del mondo.

Per questo il contenuto morale del film non richiede sottili analisi intellettualistiche. Il messaggio è semplice: la famiglia viene prima di tutto, altrimenti, rischi di finire come un vecchio solo e abbandonato.

E' vero che la solitudine degli anziani sia un problema sociale molto diffuso, così come il fallimento dei matrimoni a causa della trascuratezza sentimentale dei mariti. Convenzionale è che sia visto nella solita prospettiva maschile a danno delle donne, madri e figlie. Ogni volta che in un film nordamericano si vedono crisi matrimoniali causate dallo stacanovismo eroico di mariti impegnati in imprese di alto valore civile (Heat), mi cascano le braccia. Durante la visione di questo film mi sono chiesto cosa mai potesse aver combinato il protagonista per alienarsi l'affetto della sua famiglia con tale accanimento. Non regge tanto l'idea comune che l'amore si comprende solo quando viene a mancare. L'amore o c'è o non c'è. Le vie di mezzo esistono solo per chi vuole convincersi, dunque, artificiosamente, che si tratti d'amore. Sono tutti luoghi comuni. Come è un cliché l'idea che la morale dell'uomo non abbiente, sia verace, genuina. Sembra tanto la reazione ad un senso di colpa: sentirsi distanti dai drammi della gente; non toccato dall'ansia di dover sopravvivere anche il giorno successivo. Gli USA da questo punto di vista sono un sistema brutale. Niente sanità senza assicurazione. E, però, osservarli dal castello mi sembra un atto di presunzione. Le cose sono un po' più complicate. Purtroppo, siamo in una società che ci condiziona fin dalla culla a pensarla in un certo modo, ricco o povero che tu sia. Quindi su di me l'esaltazione della cultura popolare, del fastfood, delle balere per circoli di veterani, dei ricevimenti matrimoniali, della moglie casa e chiesa, non attacca. Al di là di ciò, mi è sembrato di aver colto nella storia una presa di distanza, sul filo dell'ironia, dalle esternazioni dell'attuale presidente, ravvisabile nella stima del protagonista, americano sudista doc di tendenze repubblicane, verso i trafficanti di origine messicana. 

 

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