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L'ereditiera

Regia di William Wyler vedi scheda film

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La recensione su L'ereditiera

di laulilla
9 stelle

Intramontabile ritratto femminile affidato alla superba interpretazione di un'attrice che non dimenticheremo.

Ci ha lasciati a 104 anni Olivia de Havilland, spegnendosi placidamente nel sonno a Parigi, dove abitava da molto tempo. La nostra memoria non può che andare alla Melania di Via Col Vento; tuttavia a me piace ricordarla  per un altro film, questo piccolo film del 1949 che le fece guadagnare l’Oscar, e non fu il solo della sua lunga carriera. La sua interpretazione del personaggio di Catherine mi pare riflettere anche un po’ la sua personalità: era infatti una donna che dietro l’aspetto mite e delicato, nascondeva un alto senso della propria dignità di cui ha dato l’estrema testimonianza alla bella età di 101 anni, quando, dopo aver ricevuto la prestigiosa onorificenza di Dama dell’Impero Britannico, fece causa a un’emittente televisiva sostenendo di essere stata ritratta in maniera fuorviante nella serie Feud, in cui il suo personaggio era interpretato da Catherine Zeta Jones (Fonte: Wikipedia).

 

Il personaggio della giovane Catherine Sloper, la protagonista di L’ereditiera, non era fra i più facili: si trattava di far vivere le mille contraddizioni della newyorkese figlia del medico Austin Sloper (Ralph Richardson), la protagonista del romanzo Washington Square (di Henry James) che il grande William Wyler intendeva portare sullo schermo con lo sguardo attento, però, alla sua versione teatrale, della quale il film mantiene alcune fondamentali caratteristiche, a cominciare dall’ambientazione, all’interno della lussuosa villa di Washington Square in cui si svolge la maggior parte delle scene.

 

Catherine era, come le avrebbe detto con brutale sincerità suo padre, una giovane donna senza qualità, o, per meglio dire,con l’unica qualità di essere così ricca da poter vivere di rendita per tutta la vita.

Quanto al resto, sempre a giudizio di quel padre, era una bruttina che stava invecchiando fra ricami e opere di beneficenza, priva di grazia e di gusto, goffa nei modi, perennemente infagottata da abiti sontuosamente grevi, destinata a morire senza aver conosciuto l’amore, se non attraverso qualche romantica fantasticheria, del tutto fuori dalla realtà.

 

Il riferimento paterno era all’infatuazione di Catherine per un giovane ingegnere senza lavoro e senza soldi, arrivato da Chicago, che  sembrava averne scosso il torpore con un assiduo corteggiamento: era il bellissimo  Morris Towsend (Montgomery Clift), uomo raffinato nei modi e dalla conversazione brillante, spregiudicato cacciatore di doti, meglio se di ragazze ingenue come Catherine, ciò che fu subito chiaro chiaro a Austin, disincantato conoscitore degli uomini e ben deciso a impedire che l’infatuazione prevedibile della figlia permettesse al giovanotto la dilapidazione del patrimonio familiare, anche a costo di diseredarla.


Il film racconta la progressiva e dolorosa “educazione” sentimentale di Catherine, ferita nel proprio orgoglio e nella propria autostima da quel padre crudele, che mai avrebbe perdonato, ma fermamente decisa a difendere la propria dignità, avendo fatto dolorosamente chiarezza in se stessa: per tutta la vita, avrebbe portato con sé il proprio Chagrin d’amour, unito alla  consapevolezza della breve durata del Plaisir d’amour, secondo le parole della bella romanza di Jean-Paul Égide Martini  (1785) che Morris aveva eseguito al pianoforte per lei, conquistandone l’ingenua e generosa disponibilità all’amore:

 

 

Il nostro animo trepida per le vicende di Catherine, al cui ritratto si dedica con cura il regista, che senza nasconderne gli aspetti involontariamente buffi, ci induce a seguirne la dolorosa crescita con affettuosa e indulgente partecipazione. Non sarebbe davvero facile immaginare una donna, anche meno ingenua, resistere alla corte di un cacciatore di dote “volgare” come il giovane Montgomery Clift!

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