Regia di Paolo Taviani, Vittorio Taviani vedi scheda film
“Negli anni della restaurazione” (così la sorniona didascalia iniziale) il nobile Fulvio Imbriani, conquistato dagli ideali rivoluzionari ma ormai stanco e disilluso dopo una lunga prigionia, fa di tutto per sganciarsi dagli ex compagni che cercano di coinvolgerlo nelle loro imprese: lui vorrebbe solo andarsene in America con i soldi che la compagna barricadera, prima di morire, aveva raccolto per comprare armi. Invece loro sono sempre lì, invecchiati, sopravvissuti a sé stessi, reduci da mille sconfitte ma indomiti, inossidabili nella loro fede, inestinguibili come un rimorso; lui li guarda con un misto di fastidio e compassione (“Non sopporto i vostri occhi sempre volti al futuro: a me la vita è data una sola volta, e non voglio aspettare la felicità universale”), e si ritrova a partecipare per caso a una velleitaria spedizione destinata a sollevare il sud e conclusa in tragedia. I Taviani, come nel precedente San Michele aveva un gallo, raccontano l’Ottocento per parlare del presente; prendono spunto dal tentativo insurrezionale di Carlo Pisacane (soffocato non solo dai soldati borbonici ma anche dai contadini locali, che non avevano nessuna intenzione di farsi “liberare” da quegli sconosciuti), deridono amabilmente l’astrattezza dei rivoluzionari ma riconoscono la forza dell’utopia: l’immaginifico resoconto del giovane Allonsafan evoca una scena mai accaduta, ma che in condizioni diverse poteva anche accadere, e alla quale persino il cinico Fulvio vorrebbe credere. Mastroianni fornisce un’interpretazione di sublime cialtroneria, la fotografia è splendida, le musiche di Morricone sono trascinanti.
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