Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film
Il titolo del film non è solo citazionismo dei due capolavori di Leone ma anche, e soprattutto, esplicita dichiarazione di intenti. L'aspirazione è tracciare l'affresco di un'epoca, rappresentarne il sentimento collettivo. Quale palcoscenico più appropriato poteva essere scelto se non quello del cinema stesso, ove la società celebra il proprio immaginario. Premetto che l'obiettivo è stato raggiunto, a mio giudizio, solo parzialmente. La narrazione non si trasforma mai in epopea, non accede alla dimensione leggendaria che è la sola possibile per descrivere l'universalità delle passioni che costituiscono l'anima di un'epoca. Ciò nondimeno, una trama profonda viene tessuta, progressivamente, con pazienza. Ogni frammento di quotidianità vissuto dai protagonisti, apparentemente gratuito o comunque poco correlato, ha una propria precisa funzione se ci lascia trasportare in quella sorta di flusso onirico che il film propone. Straordinarie sono le prove attoriali: se Di Caprio riesce a rappresentare il volto di un sogno e del suo tramonto, Brad Pitt ne impersona l'anima. Meticolosissima è poi la cura dei dettagli, la ricostruzione filologica del periodo storico. Purtroppo il suggestivo impianto emotivo tende a sfilacciarsi proprio quando dovrebbe trovare una sintesi iconica e potente. Il finale, dove si sviluppa il fulcro dell'azione, è incredibilmente sciatto, tanto da risultare imbarazzante. Fino agli ultimi venti minuti, si assiste ad un Tarantino quasi sperimentalista, che si allontana dalla propria cifra stilistica per azzardare un linguaggio nuovo. Il risultato è imperfetto, ma pregevole. Quando entra in scena il Tarantino 'classico' l'incanto si spezza e si scivola in un b-movie totalmente privo di pathos e di idee, mal pensato e mal girato. Resta la sensazione di un'opera monca, contraddittoria, ma non priva di fascino.
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