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Giganti e giocattoli

Regia di Yasuzô Masumura vedi scheda film

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La recensione su Giganti e giocattoli

di maurizio73
8 stelle

Commedia americaneggiante sulle magagne del consumismo, del conformismo e delle strategie pubblicitarie, è in realtà una impietosa satira sulla deriva morale di un paese in pieno boom economico nel quale l'adozione acritica dei modelli di sviluppo occidentali produce conseguenze tanto ridicole quanto tragiche.

La campagna pubblicitaria per il lancio dei prodotti dolciari di tre compagnie concorrenti vede schierati un manager rampante, il suo fidato assistente ed una sprovveduta bellezza di borgata con un lieve difetto fisico. Tra spionaggio industriale, equivoche relazioni personali e cinico sfruttamento commerciale, gli equilibri si spostano in maniera imprevedibile, in un machiavellico gioco delle parti dove persino gli sfruttatori finiscono per essere sfruttati.

 

locandina

Giganti e giocattoli (1958): locandina

 

Una My Fair Lady coi denti guasti nella guerra delle caramelle giapponesi

 

Tratto da un racconto di Kaiko Takeshi, e sceneggiato dallo stesso insieme a Shirasaka Yoshio, questa commedia americaneggiante sulle magagne del consumismo, del conformismo e delle strategie pubblicitarie, è in realtà una impietosa satira sulla deriva morale di un paese in pieno boom economico nel quale l'adozione acritica dei modelli di sviluppo occidentali produce conseguenze tanto ridicole (una lotta senza quartiere tra indagini di mercato e spionaggio industriale) quanto tragiche (l'alienazione di un intero popolo dedito unicamente alla produzione ed al profitto). Afflitto da un'insensata e stakanovista etica del lavoro, aspetto qualificante del carattere nazionale negli anni dell'irregimentazione forzata durante il periodo bellico, la società nipponica degli incombenti sixties finisce per scimmiottare l'american way of life nella sua frenetica ricerca di nuovi spazi di mercato, di una subdola manipolazione dei gusti e di una moltiplicazione di bisogni indotti attraverso l'uso spegiudicato dei mezzi di comunicazione di massa. Le ricadute di questa mistificazione industriale finiscono quindi per essere da un lato l'aumento delle sperequazioni in danno dei soggetti più sprovveduti (le donne soprattutto, trattate come oggetti durante sessioni fotografiche dove si alternano servizi pornografici e shooting pubblicitari), quanto un florido merchandising di oggetti inutili (i giocattoli del titolo: tra scoiattoli, modellini e tute spaziali ) che riempiono il vuoto di valori di un società che ha inconsapevolmente sostituito i propri bisogni con quelli che i grandi trust economici provvedono a preconfezionarle a bella posta. Per dirla in altri termini il conformismo consumista e le subdole mistificazioni pubblicitarie di un paese in una fase di grande sviluppo economico ("Questo è il Giappone. Dobbiamo lavorare per sopravvivere!") trovavano il terreno fertile di una società inquadrata e plasmata sui precetti nazionalistici del sacrificio personale e del progresso collettivo. A torto ritenuto un autore minore, misconosciuto se non apertamente osteggiato da una critica autoctona (quella estera ne ha ignorato per lungo tempo l'esistenza) che lo considerava dedito alle trasgressioni soft core del pinku eiga, Masumura si rivela in realtà un acuto osservatore del suo tempo e per il quale gli spunti di soggetti letterari di un certo rilievo sono in realtà il punto di partenza per una impietosa disamina di uno spaccato sociale in cui ai mali endemici e storici del corporativismo, del classismo e del sessismo si aggiungono quelli altrettanto deteriori e degradanti che l'importazione forzata del capitalismo e dell'omologazione culturale ha finito per imporre ad un popolo prevalentemente imbelle. Alle manifestazioni studentesche di quegli anni (già oggetto delle feroci critiche di altri autori come Oshima e Wakamatsu, in cui il senso della Storia si trasfigura nella sistematica e ciclica violenza perpetrata dagli apparati di potere) si sostituiscono quindi i ridicoli cortei cittadini di figuranti ingaggiati per inneggiare a questa o a quella marca di caramelle, ripresi con ardite carrellate aeree piuttosto che attraverso l'uso del piano sequenza, funzionali ad una descrizione entomologica di un formicaio urbano dove una moltitudine di teste non pensanti sono eterodirette da una intelligenza superiore che li scruta soddisfatta dai piani direzionali delle diverse aziende per le quali fanno incondizionatamente il tifo.

 

"Il pubblico è peggio dei bambini, peggio dei cani. Perchè non pensano. Lavorano come schiavi e si ubriacano la sera. Tv, radio, film, giochi. Non hanno tempo per pensare. Ecco dove entriamo ingioco noi. Noi  riempiremo le loro teste vuote con i nostri messaggi: Deliziose caramelle, caramelle World, World, World...!"

 

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Nel sarcasmo smaccato di dialoghi taglienti, l'irriverente messa alla berlina di un paese e di un popolo per i quali non solo maltempo, scioperi, terremoti e tifoni minacciano da presso lo sviluppo dei commerci, ma perfino l'inadeguadezza antropometrica dei suoi abitanti esce inesorabilmente sconfitta dal confronto con l'efficienza fisica e l'armonia delle forme dei modelli occidentali (la bellissima protagonista è intenzionalmente 'sfigurata' da una dentatura guasta e da sgraziate movenze scimmiesche), ribaltando anche in questo lo spunto nazionalista del cinema dell'immediato dopoguerra nel quale il divismo e l'esportazione di bellezze autoctone sul modello hollywoodiano (Hara Setsuko, Tanaka Kinuyo, Takamine Hideko, etc.) avevano rapprentato un punto irrinunciabile di un sistema produttivo che si riteneva ancora orgoglioso della propria indipendenza e specificità. Qui piuttosto si calca sul pedale della grottesca mistificazione a fini commerciali, dove la narrazione di una ragazza dalle qualità potenziali e dalla pretese buone intenzioni è data in pasto alla stampa per suscitare interesse ed incrementare le vendite ma che, come novella My Fair Lady coi denti guasti nella guerra delle caramelle giapponesi, studia, si perfeziona, progredisce, rendendosi autonoma in un sistema di mercificazione dell'immaginario femminile che fa di essa stessa un prodotto da pubblicizzare e piazzare al miglior offerente. Più che una semplice satira di costume, un apologo denso di temi e di spunti che spaziano dal modello consumista della società globalizzata, alle mistificazioni da panem et circenses dei mezzi di comunicazione di massa, dalle sperequazioni economiche di una sfrenata accumulazione di capitali al cinico sfruttamento di individui ridotti a semplici pedine di un gioco più grande di loro (la ragazzina che sostituisce una diva più anziana per cui non c'è più mercato); ma anche l'insanabile snodo generazionale tra una concezione superata di lealtà ed onore codificata nel bushido (il suocero) e quella di una concorrenza spregiudicata alle contingenti difficoltà di una società rivale (il genero) nello scontro impietoso durante un'ultima e tragica riunione aziendale. Il Dio Denaro è un mostro vorace che reclama cruenti sacrifici (Goda), corrompe le relazioni umane (Nishi, l'amante-concorrente Kurahashi e l'amico-nemico Yokoyama) e plasma individui informi a sua immagine e somiglianza (Kyoko) in un rituale collettivo che l'intermezzo pop-musical-televisivo del finale richiama con accattivante sarcasmo nella rappresentazione di un sensualissimo rito tribale sulle irresistibile note di un ritm&blues.

 

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Sceneggiatura solidissima cui fanno da degno contraltare una messa in scena di originalissime intuizioni visive (la scintilla di una zip difettosa che accende immaginari futuribili) ed un montaggio serrato che esprime il senso delle rutilanti accelerazioni che una società iperproduttiva impone alle vite dei suoi grotteschi e tragicomici protagonisti. Come nell'opera d'esordio di Masumura la bella e brava Nozoe è innamorata (non corrisposta) del rubacuori Kawaguchi, due prove attoriali improntate alla ribellione e alla freschezza dei loro giovani protagonisti, ma di grande rilievo sono anche le caratterizzazioni dello spregiudicato manager di Takamatsu e soprattutto quella del consapevole e colto fotografo pubblicitario di Ito Yunosuke, vero alter ego del regista e voce della sua coscienza morale, che utilizza gli stumenti messi a disposizione dal sistema per il proprio tornaconto ma che è sempre pronto a rivendicare la propria autonomia ed a proclamare una condanna senza appelli agli spietati meccanismi che ne costituiscono le fondamenta. 

 

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Nel generoso slancio finale, lo sprazzo di umanità di un giovane assistente costretto nei panni di un ridicolo robot-astronauta a mettere in scena la grottesca pantomima di una disperata alienazione sociale. Primo vero successo commerciale per l'allora trentaquattrenne Masumura Yasuzo.

 

"Sai quante pubblicazioni ci sono in Giappone? Quante pagine in tutto? Quante TV, compagnie di musica e cinema?...Il Giappone ne è pieno. Editori e produttori. Devono continuare a stampare e a fare pubblicazioni. O perderanno il lavoro. Hanno fame di star. Tutti avranno i loro 15 minuti." 

 

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