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22 Luglio

Regia di Paul Greengrass vedi scheda film

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La recensione su 22 Luglio

di supadany
7 stelle

Venezia 75 – Concorso ufficiale.

Quando si parla di morti, soprattutto se numerosi e dovuti a un’azione oltre qualsiasi logica e intendimento, non dovrebbero esistere distinzioni di alcun tipo tra una vittima e un’altra. Però, la sensibilità comune è colpita più in profondità se di mezzo ci sono dei giovani. D’altronde, loro rappresentano il futuro e vederlo annientato precocemente, fa due volte male.

Norvegia, 22 luglio 2011. Dopo anni di preparazione, l’estremista di destra Anders Behring Breivik (Anders Danielsen Lie) attua un duplice attentato. Dapprima, fa esplodere un’autobomba di fronte al palazzo del Primo Ministro a Oslo, uccidendo otto persone e concentrando l’attenzione delle forze dell’ordine sul posto. Subito dopo arriva sull’isola di Utoya, presentandosi travestito da poliziotto. Qui sparerà a vista, uccidendo 69 persone, quasi tutte di età compresa tra i quattordici e i vent’anni, prima di arrendersi.

Seguirà un processo, durante il quale il colpevole non proverà alcun rimorso, indignando una volta di più l’opinione pubblica e chi ha visto crollare ogni sogno per colpa sua, come il giovane Viljar (Jonas Strand Gravli), sopravvissuto ma costretto a convivere con un pesante trauma fisico, oltre che psicologico.

 

Jonas Strand Gravli, Isak Bakli Aglen

22 Luglio (2018): Jonas Strand Gravli, Isak Bakli Aglen

 

Paul Greengrass continua a tornare sui suoi passi. Dopo essersi rimpossessato del timone di comando della saga di Jason Bourne, con 22 July riprende la formula da action drama estratto da avvenimenti realmente accaduti, che l’aveva fatto emergere con Bloody Sunday, rispettare artisticamente grazie a United 93 e ottenere alti consensi tramite Captain Phillips – Attacco in mare aperto.

Quella raccontata è una tra le vicende che più hanno colpito la società occidentale nell’attuale decade, sviluppata a partire dal racconto Uno di noi, scritto da Asne Seierstad, un superstite che offre un punto di vista interno, dalla strage fino al processo.

Paul Greengrass parte in medias res, penetrando direttamente nella carne viva della realtà norvegese, rivivendo l’intera azione di Breivik, per quarantacinque minuti da infarto, sfruttando quel montaggio serrato che tante e meritate fortune gli ha regalato.

Al contrario, successivamente paga pegno e rientra nei canoni di uno sviluppo didascalico (recupero fisico di una vittima e processo), con automatismi garantiti ma senza armi adeguate per continuare a fare la differenza sul campo, nonostante sfrutti con scaltrezza la condivisa conoscenza dei fatti per creare una sostanziosa dose di inquietudine.

Tuttavia, risultano chiare l’istantanea di una nazione in ginocchio, la discriminazione dilagante, l’incapacità della giustizia di stare al passo coi tempi, la paura che porta a rinchiudersi nel proprio circolo privato, un malumore che ha aperto ferite, questioni tutt’oggi all’ordine del giorno, sicuramente ancora più sentite di sette anni fa e che, nel bene e nel male, stanno trasformando l’Europa, con l’odio che germoglia sul malessere.

Certo, queste argomentazioni non sono il risultato di una ricerca psicologica sopraffina, ma fanno comunque testo, in un film risoluto e in parte lucido, indipendente dal ricorso a volti noti (con la parziale eccezione di Thornbjorn Harr presente nella serie televisiva Vikings), con una struttura senza spifferi, seppur a doppia velocità (concitata la prima, metodica la seconda).  

Compatto e incalzante, inevitabilmente programmatico quando il ritmo cala.

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