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Creed II

Regia di Steven Caple Jr. vedi scheda film

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La recensione su Creed II

di giurista81
6 stelle

Sylvester Stallone torna a vestire i panni del personaggio che lo ha tolto dalla strada e gli ha permesso di realizzare il c.d. sogno americano. Il ritorno in veste di Rocky è marginale, ma essenziale per questo Creed II. Abbandonato a sé stesso, incapace di stringere relazioni col figlio e col nipotino (lo farà solo alla fine), Rocky si aggrappa al suo figlioccio Adonis, portandolo, da suo secondo, alla conquista del titolo mondiale (battuto il solito avversario con score di 33-0, sarà un caso...?). Sono proprio le relazioni familiari e il loro evolversi a fungere da collante e, forse forse, da argomento centrale di questo ottavo episodio della saga. L'occasione viene determinata dalla nuova introduzione del personaggio di Dolph Lundgren, Ivan Drago. Il mitico pugile sovietico, ex campione del mondo dei dilettanti, che ritorna in gioco quale allenatore del figlio Viktor. I tempi sono cambiati rispetto all'epoca della guerra fredda, ma in Russia (o meglio Ucraina) sembrano non passarsela bene. Viktor Drago, mole ciclopica e fisico scultoreo (lo interpreta Florian Munteanu, nulla a che vedere col carisma del Drago di Lundgren), si alterna tra lavoro di operaio e ring. La sua è un'esistenza infelice, ma è lo è molto di più quella del padre. Ivan Drago, pur se provocatore, appare dismesso, con un'amarezza di fondo che giustifica per esser stato sconfitto ("IO HO PERSO!" grida al figlio per giustificare la madre di quest'ultimo che se ne è andata senza più volerlo vedere). Il clan Drago ha il culto della vittoria, una caratterizzazione, se vogliamo, molto più vicina alla filosofia nazista che sovietica. Vincere a ogni costo, o tutto o niente. La moglie, che qua riappare (Brigitte Nielsen torna a lavorare con l'ex compagno Stallone, pur se con un cammeo),ha abbandonato compagno e figlio perché, perdendo quel famoso incontro con Rocky, Ivan Drago ha disonorato l'Unione Sovietica. "Tu qua sei per tutti un eroe, ma in Russia nessuno si ricorda di Ivan Drago" rivela Lundgren a Stallone, paragonandosi a un cane randagio. E proprio la coppia russia a rendere interessante il film. Purtroppo gli sceneggiatori, tra cui Stallone, non gli danno troppo spazio, preferendo puntare sui dejà vu e andare sul sicuro. Così viene riproposta la tematica della nascita di un figlio, la sconfitta sul ring contro un brutale avversario dovuta a un cedimento mentale, la sofferenza dei dolori fisici da cui rinascere in vista del ribaltamento della situazione, in un secondo match, dopo aver stravolto lo stile di combattimento. Dunque un mix tra Rocky II Rocky III. La parte pugilistica è forse inferiore rispetto alle attese, il giovane regista opta per un taglio quasi da videogioco, senza inventare niente di nuovo (a parte un certo tentativo di tridimensionalità con i pugni scagliati verso la macchina da presa così da dare la sensazione che arrivino allo spettatore). Anche sul versante allenamenti non c'è quel pathos e quel taglio da videoclip che aveva fatto la fortuna degli altri episodi. Jordan è bravo, eppure il suo personaggio appare viziato, non ha quella profondità umana che aveva reso leggendario Rocky. In altri termini incarna il classico figlio di papà che ha la fortuna di avere un dato talento, senza poi esser capace di introspezione e di maturità. Male anche il personaggio che interpreta il figlio di Duke e che fa da allenatore a Creed per la scelta iniziale di Rocky di non confrontarsi con Drago. Si tratta infatti di un personaggio con poca energia, assai spento, che non anima l'adrenalina né dello spettatore né del suo allievo. Eloquente quando, nel primo incontro con Drago, si rivolge alla donna di Creed e allarga le braccia come a dire: "Non so davvero cosa fare per il tuo Adonis..."

Ecco allora che il meglio del film si ha quando sono in scena i due Drago. Bellissima la sequenza con i vertici politici della Russia che riabilitano i due solo dopo che questi hanno dimostrato di avere le qualità per conquistare la corona WBC dei pesi massimi. Riappare anche la donna di Drago, che però il figlio non vuole riconoscere non perdonandole di aver abbandonato il padre. "Io quella non la conosco... Sono le stesse persone che ci hanna abbandonato!" Le cose sembrano però volgere al meglio nell'incontro in Russia, il secondo tra Drago e Creed. La donna appare a bordo ring, saluta suo figlio e rende felice il freddo compagno che dall'angolo spera di riscattare la propria vita con i successi del figlio. Gli andrà male ma, quel che è peggio, i due saranno di nuovo abbandonati dall'amore o da quello che dovrebbe esser tale. Tornano alla mente le ciniche parole di Ron quando cantava "alle ragazze non chieder niente, perché niente di possono dare, se il tuo nome non è sui giornali o non si fa rispettare..." Creed, con una stucchevole forza della disperazione, riporta in carreggiata un incontro che sembrava ormai non avere più storia e atterra Viktor Drago. Lo fa per due volte, dando il segnale che il match è ormai dalla sua. Bella l'inquadratura in cui il russo si accorge che la madre ha abbandonato la postazione. Invece di crollare, con la forza di chi si è costruito da solo cerca di reagire, ma è un fuoco di paglia. Le cicatrici interiori sono una cosa, mentre i limiti fisici sono un'altra. Il cervello e il cuore sfidano la morte, le membra la temono. Se ne accorge anche Ivan ed è qua che si assiste all'evoluzione del personaggio. Viktor si alza e affronta l'avversario con la tempra del kamikaze che è disposto a morire piuttosto che perdere. Sputa sangue e rabbia e va avanti, alla stregua di un militare che abbandona la trincea e urla verso il nemico che lo attende dall'altra parte. Il padre abbandona l'angolo, monta sul ring senza entrarvi e cammina verso i due con un asciugamano in mano. Il suo volto è la maschera della tristezza, rappresenta il dolore del fallimento che sta per compiersi, del sogno che si infrange in una triste e invalicabile realtà, crudele come solo la vita sa essere.  Il panno, bianco, è identico a quello che Stallone aveva alzato in Rocky IV, nell'incontro tra Ivan e Apollo, senza il coraggio di scagliarlo sul ring. La scena è altamente drammatica ed è il momento in cui IVAN DRAGO realizza che nella vita non è importante vincere, piuttosto il cuore e gli affetti. "Per cosa combatti, ragazzo?" è la domanda che poco prima aveva fatto Rocky ad Adonis, ed è una domanda che vale per tutti e che va decontestualizzata dal ring e riportata sul concetto più ampio che è la vita di tutti i giorni. Ora Ivan è al cospetto di una scelta, una scelta combattuta, sofferta. Il figlio non capisce, un po' come Benvenuti nel re-match con Carlos Monzon, detto il Macho, si scaglia contro il padre che al decimo round ha portato l'arbitro a fermare l'incontro. Da allora in poi però tra i due i rapporti cambiano. Drago non è più il duro allenatore che era prima, non segue più il figlio con la macchina spingendolo col paraurti, quando questo corre (chiedendo di aumentare il passo), ma condivide la sofferenza con lui correndogli al fianco, a un palmo di distanza. Bello, davvero. Peccato che non si sia dato maggior spazio a questi due personaggi, preferendo battere vie già ampiamente scandagliate. Qualche flashback, a esempio, sulla sorte di Drago avrebbe permesso di guadagnare punti. 

Per quel che riguarda Stallone, la sua è la classica interpretazione da mentore, forse un po' spento e stanco rispetto ai precedenti episodi. Non impressiona. Piace di più Lundgren, in un ruolo per lui un po' insolito.

Un ultimo cenno sulla colonna sonora: non è all'altezza delle aspettative. A parte le riproposizione delle note di Bill Conti, c'è una musica di fondo assai anonima.

In definitiva è un film che si vede bene, che permette di passare un'ora e mezzo in distensione e regala, qua e là, qualche zampata come si deve. Certo, c'è un po' aria di occasione mancata.

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