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L'enigma di Kaspar Hauser

Regia di Werner Herzog vedi scheda film

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La recensione su L'enigma di Kaspar Hauser

di kerouac
10 stelle

“L’innocenza del peccato” di non sapere.
Parlare di questo film è come risalire a mani nude la superficie del nostro Io e spogliarci di tutto, regredire a uomini senza niente, senza preconcetti, senza indottrinamenti. Restiamo soli. La ragione in una mano, le sensazioni nell’altra.
Kaspar Hauser è il trovatello senza passato, l’esemplificazione del mistero assoluto: da dove viene? Quale segreto si porta dietro? Non sa scrivere, non sa camminare, non sa comunicare, è la prima volta che vede un suo simile e porta dei segni di catene sul corpo. Non conosce alcun impulso, se non quello di nutrirsi. Paura, riflessi, non sa cosa siano.
Il mondo tedesco dell’Ottocento se l’è trovato improvvisamente, sbucato dal nulla: è il momento in cui la società si ricorda del suo bimbo sperduto e inizia a occidentalizzarlo.
Herzog, lungamente documentatosi per realizzare il film, crea da questi veri fatti storici l’antitesi di un film biografico, senza per forza invitare lo spettatore a seguirlo. Quello del regista tedesco non è più cinema, ormai ha metafisicamente raggiunto l’ignoto, la pura contemplazione, che supera il bisogno della parola.
L’ENIGMA DI KASPAR HAUSER va al di là di quello che possiamo immaginare. È la storia di una breve vita, eppure Herzog non si è accontentato di girare la vicenda, l’ha solamente usata per rigenerarla integralmente, per cogliere l’enigma autentico: ha filmato l’uomo.
Come in AGUIRRE, FURORE DI DIO, il regista si è impossessato di un’esistenza che non gli appartiene per confrontarsi con l’ambizione di esprimere un’esasperata, straordinaria, volontà di grandezza: la sua scommessa non è narrare fedelmente, ma restituire a ciascuna storia un fascino arcano proprio perché è il primo passo per studiare ciò che supera i limiti dell’essere umano.
Se in AGUIRRE l’esplorazione del Nuovo Mondo si connotava dei più possibili significati sociologici (il rapporto dell’uomo con la Natura, le istituzioni – monarchiche, ecclesiastiche - , le imposizioni del potere, la Storia, e soprattutto con l’inesauribile impulso megalomane che spinge Aguirre ad un’estrema ricerca della gloria) e antropologici, nel senso più materiale del termine (il logoramento del potere, l’ossessione per l’oro), con L’ENIGMA DI KASPAR HAUSER Herzog si immerge definitivamente in un Romanticismo di indicibile bellezza, ricondotto alle sue radici e alle sue tradizioni.
La genialità del film nasce proprio da questo inevitabile confronto di mondi diversi, tra la cultura romantica che vuole imporre le sue verità e la verità di un uomo che non vuole una cultura di imposizioni. Kaspar Hauser vorrebbe essere normale ma non può, deve scontare la sua posizione di reietto perché non è mai cresciuto: è la metafora dell’uomo primitivo aggiornata al suo tempo.
La coscienza della diversità è il sintomo della sua solitudine, che gli impedisce di legarsi incondizionatamente agli altri, di condividere fino in fondo ciò che gli viene insegnato. Kaspar non può che rifugiarsi nel suo isolamento e gradualmente imparare a conoscere con gli occhi, con la testa. Soltanto questa sofferenza di alienato potrà rivelargli la sua unicità, restituire all’assenza di esperienze lo sguardo del meraviglioso, l’armonia della Natura, la simbiosi con il Creato.
Herzog costruisce questo cammino filmando il pensiero con la purezza di chi vede il mondo per la prima volta: la poesia nasce dal profondo, da quanto di più radicato e incontaminato sia presente nell’uomo, ed è proprio la necessità dell’ovvio a renderla irraggiungibile, perché le persone, racchiuse nelle false certezze della società, si sono scordate l’incanto sensoriale che ci rende autentici.
Ed è così che nutrire un usignolo restituisce all’uomo il piacere di scoprire la vita, che osservare semplicemente la bellezza e la dissoluzione delle cose è il vero Vangelo con cui svelare l’essenza della materia (è forse il film in cui il concetto herzogiano di Natura come fonte di vita e di morte emerge nella sua forma più compiuta) e i segreti che istintivamente l’uomo è chiamato a indagare venendo al mondo, che una semplice botte ricolma d’acqua diventa uno specchio illusorio con cui guardarsi e dentro, magari porgendo una mano sulla sua superficie per scoprirsi diversi.
Beatificazione terrena, che conduce rousseaunianamente ad abbandonare la modernità e riavvicinarsi alla gemma delle origini umane, per riscoprirci pienamente vivi.
“Pensieri e parole”. Herzog segue questo duplice terreno di introspezione, e se da un lato crea poesia, dall’altro non si accontenta di filmare il pensiero ma di ricostruirne la genesi.
La società romantica che si è dimenticata di Kaspar non può accettare l’ignoranza e sistematicamente si impegna a “normalizzarlo”. La Chiesa, la scienza, la logica (con il brillante indovinello coniato dallo stesso regista) si mobilitano per ribadire le loro dogmatiche sicurezze e rivelarle al trovatello, eppure Kaspar non vuole accettarle, preferisce vagliarle dall’unica fonte a sua disposizione, la Ragione. Non è un ribelle, ma sente il bisogno di mettere in discussione l’infondato, il non visibile, di protestare contro nozioni che non ritiene materialmente giuste o verso le quali è inopportuno obbedire ciecamente. Il fascino di questo dissidio è l’alba di un filosofico discorso sull’indispensabilità del relativismo culturale e una cosciente presa di posizione verso tutto ciò che è metafisico o matematico: dall’alto della suo non sapere è proprio Kaspar il vero maestro, l’unico capace di vedere le cose senza compromessi, che insegna a tutti la semplicità di quello che hanno perso: apprezzare il dono di essere uomo.
Il destino tragico di Kaspar è avvolto nel mistero come la sua apparizione: Herzog non ci priva di niente, neppure di un ironico e devastante finale, in cui restituisce ad una società vanesia nella sua ricerca di risposte razionali l’autentico ruolo di antagonista.
Di Kaspar resterà la storia, e l’immaginario viaggio che Herzog ha artisticamente compiuto per raccontarcela, mostrando un po’ di verità, un po’ di se stesso, un po’ dello spettatore che ha saputo guardarlo.
E in quei sogni straordinariamente vividi e misteriosi, sembra proseguire l’enigma di un film destinato ad un’immortale bellezza, forse in assoluto l’opera di Herzog in cui vorremmo riconoscerci.
Verlain dedicava a Kaspar Hauser questi versi:

"Io son venuto, orfano tranquillo,
ricco solo dei miei occhi quieti
verso gli uomini delle grandi città:
essi non mi hanno trovato spiacevole.

A venti anni un turbamento nuovo
Sotto specie di fiamme amorose
m’ha fatto trovar belle le donne:
esse non m’hanno trovato bello.

Quantunque senza patria e senza re
e non essendo molto coraggioso
ho voluto morire in guerra:
la morte non m’ha voluto.

Son nato troppo presto o troppo tardi?
Che cosa faccio in questo mondo?
O voi tutti, la mia pena è profonda:
pregate per il povero Kaspar! "

Parole che basterebbero per ricordarci Kaspar, ma che non possono naturalmente restituire ad Herzog il suo merito più grande, quello di averci fatto riscoprire qualcosa di invisibile che forse abbiamo perduto: la verginità dell’anima.

Sulla colonna sonora

Alcuni brani straordinari. Da citare la musica almeno in alcune scene: l'inizio, quando viene inquadrata la distesa d'erba colpita dal vento (secondo Herzog l'immagine più simile a quella che un uomo cresciuto nel nulla può vedere per la prima volta)

Su Bruno S.

L'ignoto del cinema. Herzog non ha mai voluto svelare la sua identità. Il mistero del mr. Kaspar Hauser cinematografico. Raramete ho visto una tale immedisimazione. La sua storia personale non è diversa da quella di Hauser.

Su Werner Herzog

E' uno dei film che più ama tra quelli della sua filmografia. E ha ragione. Lui è un gigante nel cinema moderno, il più straordinario esploratore-poeta del nostro tempo. Grazie Werner.

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