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Il vizio della speranza

Regia di Edoardo De Angelis vedi scheda film

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La recensione su Il vizio della speranza

di alan smithee
5 stelle

13° FESTA DEL CINEMA DI ROMA - SELEZIONE UFFICIALE

Tra gli scheletri abusivi in riva al mare, e le discariche altrettanto irregolari che disegnano ormai un panorama inquietante ma anche, a suo modo, per chi lo vede da distante, suggestivo ed evocativo di una vita di compromessi e di pura sussistenza, Maria, ex prostituta guadagnatasi un ruolo di maggior responsabilità dopo che la anziana "madame" eroinomane che gestisce la tratta delle immigrate, ha deciso di affidarle, traghetta le schiave del sesso lungo il fiume, sino al luogo in cui un medico connivente le fa partorire o abortire, nel primo caso utiizzando il nascituro per turpi commerci di neonati a favore di coppie facoltose, mature ma sterili.

Il giorno in cui si accorge di essere pure ei incinta, dopo che ogni medico le aveva pronosticato l'impossibilità di procreare, per Maria, che vive di solitudine, accompagnata solo dal fedele pitbull bianco dolcissimo che mai la lascia sola, si ritroverà a prendere una decisione cruciale, senza poter contare su un consiglio che non sia interessato, da parte della madame, o incosciente, da parte di una sorella irresponsabile, ed una madre ancora più folle.

De Angelis, dopo Indivisibili, torna a colpirci col suo lirismo scenografico che sa come e dove colpire e far breccia sulla sensibilità dello spettatore. Complice una ambientazione perfetta, di una Castel Volturno ormai sempre più spesso prescelta dal cinema per ambientarci storie forti e ad alto tasso drammatico, "Il vizio della speranza" gioca con abilità, sfrontatamente sin dal titolo eclatante, e non senza prendersi i suoi rischi (il cavallo che corre lungo la spiaggia è a serio rischio di plagio da spot pubblicitario storico di un celebre bagnoschiuma), tutte le sue carte per gestire un risvolto drammatico e teso che ammalia e attrae. Fino a condannarsi verso un esito manierato dai tratti autolesionisti. Tuttavia la prova fornita dalla brava giovane protagonista Pina Turco, che si carica addosso un personaggio potente che cresce e matura col chiarisi della vicenda, maturando in orgoglio e in determinazione, e ancor più le godibili apparizioni di una madame sfruttatrice di anime, resa con navigato mestiere e piglio cinico-civettuolo dalla straordinaria e bentornata Marina Confalone, grandissima interprete troppo poco utilizzata dal cinema di qualità - conferiscono al film una sua dignità e la capacità di risultare molto, sin troppo attraente.

Proprio questo ultimo aapetto finisce per divenire pure, a ben vedere, il tallone d'Achille di una produzione che si preoccupa sin troppo del lato stilistico e dell'effetto emotivo, riservando alla vicenda una dinamica che non si discosta da molte altre storie drammatiche già viste in altre circostanze, e magari filmate e riprese in modo decisamente meno stiloso e ad effetto.

La speranza è tutto, e su di lei si costruiscono castelli di carta destinati a sfidare la gravità e l'equilibrio, prima di franare clamorosamente al suolo, disintegrandosi. De Angelis ci rapisce con un incipit potente, capace di catturarci e poi ci riprova in seguito, forte di scorci sapientemente ripresi, paesaggi devastati in modo incoscientemente artistico, luoghi di derive fisiche e mentali: segno, da parte dell'abile regista, di una grande capacità di gestione del racconto, che tuttavia finisce per prendere in ostaggio lntera vicenda, inducendo la pellicola a sfiorare la maniera ed il calcolo più fine a se stesso, in grado di sperperare con la bella immagine o la ripresa perfetta, il sentimento più schietto e sincero che la vicenda poteva trattenere in sé.

La musica e le canzoni, quelle davvero stupende, sono del grande Enzo Avitabile.

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