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Il vizio della speranza

Regia di Edoardo De Angelis vedi scheda film

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La recensione su Il vizio della speranza

di pazuzu
6 stelle

De Angelis riesce a ritagliare sprazzi di lirismo e tenerezza in un contesto popolato quasi solo di anime perse e desolazione, di vite allo sbando e rifiuti a cielo aperto, cercando di sollevare l'esistenza della protagonista dalla brutalità che le è propria.

 

25 mila abitanti regolari, 25 mila irregolari. Con questi numeri, che dicono tutto, il regista Edoardo De Angelis presenta Castel Volturno, teatro del suo quarto film, Il Vizio della Speranza.
In questo lembo di terra, più precisamente tra la distesa di casupole che affollano le rive del fiume Volturno, la storia intera si snoda: è la storia di Maria, una ragazza che in passato ha subito un durissimo trauma e che lì vive senza prospettive per il futuro, campando alla giornata con solo un cane per amico. Novella Caronte, traghetta donne morte dentro a liberarsi della vita che portano in gembo. Lo fa per conto di Zi' Mari, una 'madama' eroinomane che con questo traffico ci guadagna. Le donne in questione sono profughe o clandestine, oppure semplicemente disperate, la maggior parte sono prostitute che la gravidanza non l'hanno mai desiderata e quindi accettano di buon grado di affittare il proprio utero in cambio di denaro, affinché qualcuno "che i figli li vuole" se li compri.
Maria questo lavoro lo fa per tirare avanti e sfamare la sorella nullafacente e la madre sciroccata, che passano intere giornate in casa a dormire una sul divano e l'altra nella vasca, senza progettare niente per sé. Fino a quando il gesto rivoluzionario di una ragazza africana, che decide di sfidare il destino e fuggire per tenere il proprio bambino, fa scattare qualcosa anche in lei: forse la speranza non è solo un vizio, forse provare a cambiare la propria vita è possibile.

 

 

Il percorso di Maria è una parabola dal cuore esplicitamente cattolico concepita in maniera di per sé affascinante, nel corso della quale De Angelis riesce a ritagliare sprazzi di lirismo e tenerezza in un contesto popolato quasi solo di anime perse e desolazione, di vite allo sbando e rifiuti a cielo aperto, cercando di sollevare l'esistenza della protagonista dalla brutalità che le è propria. Purtuttavia, nonostante le belle immagini di De Angelis, il ricco contrappunto musicale fornito dalla colonna sonora di Enzo Avitabile, e le ottime prove degli attori (su tutti la lodevole Pina Turco nel non facile ruolo della protagonista, ed il 'sofferto' Carlo Pengue di Massimiliano Rossi, uno dei pochi uomini in un cast quasi totalmente popolato da donne), il film a lungo andare si sfilaccia, accartocciandosi su sé stesso come le vite disperate che descrive, tra simbolismi religiosi, dialoghi talvolta eccessivi, ed indugi inutili anche su disgrazie non fondamentali nell'economia del racconto (la morte del cane su tutte).

 

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