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Audace colpo dei soliti ignoti

Regia di Nanni Loy vedi scheda film

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La recensione su Audace colpo dei soliti ignoti

di lorenzodg
8 stelle

Audace colpo dei soliti ignoti” (1960) è un film di Nanni Loy che prende la scia del film di Monicelli e traccia una nuova storia scritta dallo stesso regista con l’accoppiata storica della commedia Age & Scarpelli (gli stessi avevano sceneggiato “I soliti ignoti”).
Il pretesto di una nuova avventura della banda sconclusionata è di seconda mano ma anche lo sfruttare attori di gran lusso e modi oramai irripetibili. Un film per niente ovattato, pieni di tic e vezzi che ognuno scopre e ritrova con piacere: il chiaroscuro del boom economico fa da contraltare alla luce in cantina di personaggi (cosiddetti) minori che rifanno gruppo in un batter d’occhio e vogliono sbarcare il lunario con poche idee e gesti maldestri poco consoni a un mondo (oggi) già invischiato nella cinica corruzione di un uomo saccente e salutare che da ‘alti’ sguardi’ muove il meschino aiuto verso bande di altro tipo.

Certo nel film di Loy si perde (ma non del tutto) lo strutturalismo e il meccanismo ‘riluttante’ e ‘critico’ della società e dei suoi miseri personaggi. Ogni luogo appare ripartito da un neorealismo gretto e spento con l’aggiunta di casermoni di quartiere e di paesaggi semidistrutti mentre il boom pre-edilizio moderno già faceva vedere i suoi guasti e le nefandezze dell’uomo arrivato a tutti i costi. La metafora del furgone (con relativo incasso del totocalcio) rivela un gioco (ridanciano) che oggi spaventa per la foga di modi già avanti nelle ruberie (con metodi che il cinema di allora neanche prendeva in considerazione): l’assalto ai furgoni portavalori dà la sensazione dove il mostro-commedia sia inserito (oggi) e l’analisi su ciò che era diventa acume terribile di accanimenti su sfasci e denari facili (la corruzione è per altri).

Da rilevare il paesaggio urbano con scritte e insegne (prive di qualsiasi edulcorazione) che qualcuno (e più) comincia a rimpiangere: non per il gusto di ritornare dove non si può ma per l’ossessione odierna di scritte sovraimpresse, luci annebbianti, chiari fumosi, giardini elettrici e arcobaleni accessoriati: di tutto di più. Questo barocchismo di spaventapasseri (umani) che non chiosano neanche un’entrata nel viale alberato oramai con foglie-neon cadute in partenza.

Le pellicole della cosiddetta commedia avevano il tempo giusto (per essere girati), i momenti giusti (con storie popolari), gli attori giusti (che rimarcavano il connubio realtà-immaginazione), gli artigiani giusti (che conoscevano benissimo la società) e i registi giusti (che dalla prima ora del neorealismo fino ad arrivare alla commedia –ultimo epigono del nostro cinema che fu- non si chiudevano nella torre d’avorio ma si scontravano con le umili contraddizioni del vivere e le schermaglie quotidiane del ‘campare’).

Loy (un rappresentante degno di certo cinema) si addentra in situazioni storiche e sociali (con momenti altalenanti) con teatralità e irridendo ciò che osserva: questo gli riuscì bene in “Le quattro giornate di Napoli”, “Un giorno da leoni” , “Detenuto in attesa di giudizio”, “Mi manda Picone” e nella serie tv "Specchio segreto" (le burla sono solo pretesto per confinare l’uomo di strada con i suoi artistici modi di fronte all’irreale presa in giro.

Si deve altresì dire che la compagnia attoriale (di ieri) permetteva facilità di scrittura e complessità di figure: i grandi sapevano infondere il giusto verso al film e , soprattutto, si ammaestravano a vicenda con semplice umiltà. Il disincanto rende certi linguaggi e certa recitazione intrinseca all’uomo di ieri: appare un distacco sobrio e feroce (anche quando si ride –ancora oggi- con vero gusto e senza peli sulla lingua). Il glamour cinematografico è comparso per sempre quando i personaggi si recitano addosso (la tv di oggi ne è manifestazione), si inseguono, si arrampicano ma dicono il (quasi) nulla. Il film (italiano) deve annusare il terreno fertile di ciò che i vetri oscurano (con calcificazioni e cancellature di cancelli imbalsamati).

         “Audace colpo dei soliti ignoti” appare subito un film ‘alacremente-divertito’: senza operazioni di facile calco, un seguito nel gioco di gruppo (per fare colpi –finti- cercando di non perdere il tempo delle bisbocce) con aggiornamenti familiari e donne che non fanno solo il ‘contorno’.

         Il cast è dirompente nel “piagnucolare” ogni battuta e di rinfacciare(si) allo spettatore qualsiasi rivalsa di un conto ancora non chiuso. L’essere ‘ragazzi’ manifesta un’apertura di gesti, di smancerie, di spudorati movimenti che non sono appesantiti ma rendono l’umore immaginifico reale: solo i balordi (che furono) non si spaventano di nulla e tirano la corda con commissario o infermiera (in un futile mondo di facile pressapochismo e di modi beceri ancora irridenti –ma siamo quasi alla frutta… nel cinema- e corrosivi).

Trama: Dopo aver fallito il primo colpo “Er Pantera” (Vittorio Gassman) –che si adatta a fare il muratore- si lascia trascinare da “Il Milanese” (Riccardo Garrone) a un nuovo colpo: “prelevare’ il bottino dell’incasso del totocalcio da un’auto dove si trova il ragioniere (Gianni Bonagura) che viene circuito dalla bella Floriana (Vicky Ludovisi). Ma la rapina preparata ‘scientificamente’ da Peppe ha bisogno di tutto il gruppo: Mario (Renato Salvatori) che discute sempre con Er Pantera, ‘Capannelle’ (Carlo Pisacane) che torna a fare il palo, ‘Ferribbotte’ (Tiberio Murgia) dà una mano..mentre la sorella Carmelina (Claudia Cardinale) è fidanzata con Mario e infine ‘Piede Amaro’ (Nino Manfredi) che dovrà preparare l’auto truccata per fuggire col malloppo.

La trasferta a Milano viene mascherata dalla partita della Roma a San Siro. Tutti sono pronti ma l’incidente che dovrebbe solo bloccare l’auto del Totocalcio si rivela tale e il parapiglia della banda è totale. Ma Piede Amaro riesce a portare con la sua auto Mario, Capanelle e Ferribotte a Bologna per prendere il treno per Roma (dove era già salito Peppe che era scappato nel trambusto). E la valigia con i soldi viaggiava con Piede Amaro: nonostante la stanchezza….tutti si ritrovano a Roma con Floriana. Lasciata la valigia nel deposito bagagli, leggono i giornali sulle notizie della rapina. Quando sembrava tutto finito, il commissario convoca tutti i ladruncoli ‘schedati’.  Naturalmente anche Peppe e tutti gli altri. L’alibi c’è: il biglietto della partita!

E la valigia intanto viene presa da Capannelle che non vede l’ora di mangiare ‘bene’ e prende dal malloppo diecimila lire. La sua indigestione gli darà come contentino un ricovero in ospedale dove stranamente si ritrovano tutti (per salutarlo) e il commissario. La valigia intanto è sotto al letto. Ma tutti hanno paura di tenerla..ed ecco che (usciti dall’ospedale) Piede Amaro abbandona la valigia sotto una panchina. Telefona alla polizia…ma mentre vogliono recuperarla le forze dell’ordine sono già arrivate.

Epilogo farsesco e duetto: in una serata Peppe sta andando via dagli altri e attraversa fuori dalle strisce pedonali…e due signori della legge…sono pronti per una multa.

Ambienti: quando il cinema si forniva del set naturale senza forzature e stravolgimenti; quando i luoghi davano l’impressione di dirci qualcosa; quando il vezzo-italico era parte integrante del vissuto; quando la periferia romana dava lo sguardo fordiano a quello lugubre di molte periferie di oggi; quando lo sguardo era umano e la simbiosi macchina da presa – set era tutt’uno con la commedia dell’arte popolana.

Cast: su tutti svettano Vittorio Gassman (strepitoso il suo personaggio con i duetti con Mario e il maresciallo –ricordiamo quella della cronaca della partita come…alibi imparata a memoria-) e Nino Manfredi (il suo Piede Amaro è veramente azzeccato –uno di quei film dove l’attore recitava da par suo-); ma si deve dire che tutti meritano un applauso: da Salvatori a Pisacane, da Murgia alla Cardinale.

La recitazione appare sempre in tono diretto; di basso profilo e di grande impatto. Si ride di gusto per l’ennesima volta ma l’amaro in bocca, per alcune situazioni, resta e non scompare. Una farsa mai banale, una commedia per niente ovvia e una pellicola di grande dignità (quando le ruberie facevano pensare e molto…oggi..?).

Da ricordare il montaggio di Serandrei (montatore storico del grande cinema italiano che fu –quasi tutto Visconti-)e le belle musiche di Umiliani.

La regia di Nanni Loy è a livello attori, segue e si fa seguire; lineare e immediata. Certo lo stuolo dei personaggi attorno non si fa certo…fatica.

Voto: 8-.

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