Regia di Giorgio Diritti vedi scheda film
Volevo nascondermi, e nascosto mi sono.
Mi sono nascosto e mostrato , in quest’angolo buio a margine del quadro, rifugio dalla vita, e finestra spalancata sulla mia anima persa, a volerci guardare. Colori sparsi e verso di animale, questo è il solo modo che ho per parlarvi , per dirvi che pure io sono voi.
Quel coniglio rachitico, quella tigre col gozzo, sono il pazzo ed il tedesco, Gesù Cristo crocifisso al letto, e una belva feroce nella gabbia di una tela. Sono il demonio che proprio non vuole uscirmi dalle tempie, l’orecchio e le notti stellate di un olandese morto povero, e le foreste del Bengala tra le Golene del Po, quasi come la Mompracem di Salgari immaginata tra i palazzi di Sampierdarena.
Volevo nascondermi, e nascosto mi sono. Mi sono nascosto e mostrato , in un paesaggio dipinto dalle mani vostre e dalle mie.
Siete voi ad avermi fatto feroce e dolce, orribile e prezioso, ad aver plasmato miseria e disperazione, come i nazisti che “fecero” Guernica.
Sono la fame e la malattia, l’abbandono di una madre ed un patrigno orco tirato fuori da una fiaba. Sono l’ottusità di burocrati, medici e maestri, e la chiusura mentale del mondo contadino, dove un irregolare è un cane in Chiesa, e forse non merita di vivere. E’ il crudele idiotismo di un mondo che solo l’ingenuità di certe moderne pance piene, e di reazionari più o meno consapevoli, può immaginare come una perduta Arcadia, anziché classismo servito per pranzo, e superstizione per cena; anziché scherno, sassate, e cinghie di ritenzione.
Volevo nascondermi, e nascosto mi sono. Ma è difficile farlo da se stessi e dal passato, se la mente si frantuma di continuo sulla linea dei ricordi, se uomini e donne mi eccitano e spaventano, e parlo una lingua che ne mescola tante -tedesco e dialetto, ruggiti e filastrocche di bimbi-questa strana mia poesia meticcia e gutturale.
Se mi metto il cappotto a luglio per il freddo che le notti mi han lasciato nelle ossa; se sfreccio su cento moto per trovare l’America in questa Emilia di spazi, di roba e di motori, una folle corsa per inseguire un sogno da fermo; se indosso vestaglie e piume come sola forma possibile di possesso del femminile, in questa eterna immaturità sessuale, e nella solitudine di un’esistenza senza amore.
Volevo nascondermi, e nascosto mi sono. Ma se alzaste un po’ lo sguardo, l’artista lo ritrovereste lì anche tra cento anni, e poi cento ancora, più amato di un seduttore, e più ricco del più ricco tra i signori, in sincronia ed in sintonia col battito ed il gemito del mondo. E se vi libraste in alto, lo vedreste minuscolo, ma fuso nella natura, pennellata indispensabile nella bellezza, nonostante tutto, dell’insieme; la perfezione delle forme in una giornata senza nebbia e senza dolore, creatura libera come un’aquila, creatore libero come Dio.
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