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Green Book

Regia di Peter Farrelly vedi scheda film

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La recensione su Green Book

di leporello
5 stelle

A Daisy, con spasso!

Ci sono più cose che non mi hanno convinto di questo film (e di conseguenza, fatto storcere un po’ il naso davanti all’incetta di riconoscimenti già ricevuti e prossimo forse a riceverne ulteriori  anche nell’imminente notte degli Oscar...). La prima è sicuramente personale, e dunque priva di valore oggettivo: Viggo Mortensen. A lui è già stata accreditata una performance da ricordare nei futuri almanacchi del cinema. Da suo sincero ammiratore vorrei invece sostenere l’esatto contrario, e rilevare che il  registro leggero, canzonatorio, strafottente suo malgrado, da “bulletto de no’ artri” (uno dei rari casi in cui, in lingua originale, l’idioma dell’italo-american-mafiosetto riesce ancora peggio che doppiato) gli viene davvero male. Pur non avendo visto tutti i suoi film, mi risulta che questa sia la prima volta in cui il buon Viggo si cimenta in un ruolo che può tranquillamente definirsi “brillante”, e a me non ha fatto altro che far rimpiangere, anche escludendo tutti gli  Aragorn della storia, i fantastici personaggi di film come “Eastern Promises” o “HIstory Of Violence”. Insomma, credo che il talento artistico di Viggo Mortensen sia meglio impiegato nei ruoli del “cattivo-cattivo” (o del “buono-buono” se si tratta di Tolkien), e non in quelli del “cattivello-buffo-mascalzoncello” come stavolta.
Un’altra nota stonata ha sede in un'altra radice dalla quale sta crescendo, me ne dolgo,  il rigoglioso successo di questo film: la sceneggiatura; capisco la fascinazione del soggetto (una sorta di “Driving Miss Daisy” al contrario), ma il nascere della relazione dei due protagonisti è davvero inspiegabile. Non che il proseguire sia poi molto meglio, ma almeno sul “come nasce” inviterei tutti, se possibile, a rivivere i primi trenta minuti del film e, dopo aver buttato via i primi dieci/quindici che sono solo un onanistica prova di attendismo filmico tipo lancio dei titoli di un telegiornale alle otto meno cinque (“Una Pugnetta” direbbe Valentino Rossi), a domandarsi perché i due si scelgano. Io ho diligentemente aspettato che il film giungesse al termine, ma anche a quel punto non mi sono spostato dall’idea che sia stato come dice Valentino Rossi, così,  solo per far scena. Certo: è una storia vera, quindi si potrebbe dire che i due si sono scelti nel film perché lo fecero già nella vita, ma il film non riesce minimamente a renderlo credibile, digeribile, appunto, filmicamente vero.: il Dottor Shirley e Tony Lip sembrano messi lì un po’ come Stanlio e Onlio, che non c’entrano niente l’uno con l’altro, che sono diversi e lontani in tutto, e che però fanno ridere, funzionano, sono divertenti, dunque... Evvai!
E a proposito di sceneggiatura: pur volendo sorvolare sulla dicotomia rimasta nascosta tra le righe della sontuosa personalità del “Dottore”, il quale passa da un salotto alla Amin Dada  (o si dovrebbe dire, alla Sun Ra) all’auto umiliazione del “Bovero Negro”  in tour nel profondo Sud alla ricerca di guai per trovare se stesso (ognuno fa come je pare...), musicalità a parte (che pure non era irrilevante), la faccenda epistolare tra Tony e sua moglie che funge da gancio per concludere l’opera, col  Cyrano di colore che la modella di par suo, finisce solo per servire a confezionare una conclusione banale e tirata via con due battute insipide, però  sapientemente condita di buoni sentimenti natalizi, quando avrebbe dovuto/potuto essere il vero segno di quel reciproco riscatto dei due protagonisti.

Fosse stato un film primaverile, o autunnale, lontano dai riflettori e dalle statuette dorate, conoscendo me stesso lo avrei valutato come “film da poter guardare con semplicità”. Dato invece tutto il bailamme che gli si è creato intorno, preferisco alzare la guardia, raccomandare diffidenza, e sinceramente: guardare
altrove. Mi tolgo dunque dal coro degli elogi e, data l’impossibilità di un giudizio mezzano, dovendo scegliere tra un cinque e un sei scelgo il cinque.

 

 

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