Regia di Ermanno Olmi vedi scheda film
Un illustratore intriso di ideali romantici sull'etica ed il comportamento vive in un mondo soffocato dalla furberia, dalla malafede e dalla maleducazione. Tutti comportamenti incentivati prima dalla scuola e poi dai datori di lavoro (il suo ex compagno di classe diventato benestante), nonché uniche carte da giocarsi per sperare di farsi strada nella società. Ma invece lui, che non riesce a staccarsi dalla propria visione di ciò a cui dovrebbe aspirare ogni essere umano e che sulle questioni di principio ha costruito le fondamenta morali della propria esistenza, si ostina a seguire la propria strada, fregandosene di tutto e di tutti e lasciando per il mondo piccole testimonianze di apprezzamento in forma di titoli nobiliari, tanto da finire in prigione come truffatore. Perché il concetto di nobiltà (che Olmi riprenderà in mano come analisi storica nel capolavoro Il mestiere delle armi), ripulito dalle brutture dei sistemi aristocratici, può essere idealmente associato al raggiungimento di uno stato di integrità umana degna di ammirazione, un portamento sociale che non perturbi platealmente l'equilibrio delle cose ma tenti comunque di migliorarle con silenziosa eleganza. Il tutto è messo in scena con grande poeticità e contiene alcune sequenze semplicemente bellissime (il dialogo successivo all'appuntamento fra l'illustratore e la ragazza). Ci sono però delle sbavature: essendo il primo film in cui Olmi fa il factotum ci sono dei problemi tecnici non trascurabili soprattutto in sede di montaggio (che a tratti zoppica un po'), l'attore protagonista non mi è sembrato adattissimo alla parte e la sensazione finale è quella di un ingranaggio che qui e là avrebbe necessitato di essere oliato. Ma Olmi è in grado di toccare le corde giuste anche nei risultati meno rifiniti.
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