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Sotto la pelle del lupo

Regia di Samu Fuentes vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Sotto la pelle del lupo

di SCJ
4 stelle

Con scrupolosità documentaristica, senza alcun dialogo per i primi diciassette minuti, l'opera prima di Fuentes ci porta nei recessi dell'animo umano con una trama incentrata sulla lotta tra l'uomo e la natura e la dicotomia tra civiltà e barbarie. Ma la decisione di preferire il silenzio al dialogo è rischiosa e finisce per inghiottire il film.

 

Martinón (Mario Casas) è un uomo solitario e scontroso che trascorre le sue giornate a cacciare animali. Ultimo abitante di Auzal, un piccolo e remoto villaggio tra le montagne innevate a nord della Spagna, l’uomo conduce una vita primitiva e il suo unico contatto con altri esseri umani avviene un paio di volte all'anno: all'inizio della primavera e alla fine dell'estate, quando scende a valle per commerciare le pelli degli animali che ha ucciso durante l’inverno. 

Durante una di queste discese, incontra Pascuala (Ruth Díaz), una mugnaia da poco rimasta vedova, dalla quale ottiene un breve atto carnale. A seguito della morte del suo cane da gregge, Martinón accetta l’offerta del mugnaio del posto che, in cambio di alcune pelli e di denaro, gli "cede" la figlia Pascuala per andare a vivere con lui sulle montagne, dove verrà sottomessa ed umiliata. Da quel momento inizieranno ad emergere in Martinón, uomo rude e di poche parole, sensazioni nuove che lo spingeranno a dover fare i conti con la propria vulnerabilità e scegliere se cedervi o abbandonarsi definitivamente ai suoi istinti più selvaggi.

La salute cagionevole di Pascuala porterà la ragazza ben presto alla morte e, dopo aver scoperto di non essere il padre della figlia che portava in grembo, Martinón torna in città per reclamare dal mugnaio un "risarcimento". Incapace di dare a Martinón ciò che chiede, il mugnaio gli offre in cambio Adela (Irene Escolar), la figlia più giovane a cui toccherà la stessa sorte, in un processo di degradazione tra le montagne isolate, ma le cattive maniere e la durezza di Martinón provocheranno in Adela un dolore e un profondo risentimento tali da spingerla a prendere una scelta decisiva. 

 

 

Mario Casas

Sotto la pelle del lupo (2017): Mario Casas

 

Il cinema ha la capacità di far evaporare i confini geografici degli spazi e allargare la nostra visione al cosmogònico e con identica generosità ci permette di osservare territori diafani distanti, realtà sconosciute e personaggi appassionanti. Ma è anche vero che gran parte del cinema che "consumiamo" solleva dei confini invisibili, distruggendo i miti che gli sono estranei e imponendo i propri, universalizzandoli, in un perdèndosi di identità storica senza quasi farcene rendere conto.

 

Dopo una lunga carriera come assistente alla regia, il documentarista Samu Fuentes presenta il suo film d'esordio "Sotto la pelle del lupo", frutto di un lavoro durato più di cinque anni. Con la sua opera prima, Fuentes ci porta nei recessi dell'animo umano con una trama incentrata sulla lotta tra l'uomo e la natura e la dicotomia tra civiltà e barbarie. Esplorando le teorie del filosofo inglese Thomas Hobbes: «Lupus est homo homini, homo non, Quom qualis siedono non novit» [«un uomo per un altro uomo è un lupo, non un uomo, quando l’uno non conosce quale sia il carattere dell’altro».], il giovane cineasta ci espone a un’amara riflessione sugli istinti violenti ed egoistici dell’uomo contro i propri simili, raccontandoci una storia grezza e sorprendente sulla natura più primaria dell'essere umano. Per esplorare la natura complicata di Martinón, Fuentes porta in scena due antagoniste, le sorelle Pascuala e Adela. Pascuala rappresenta la resa alla passione e gli impulsi sessuali più basilari, ma anche la sottomissione che perpetua il ruolo delle donne in una società arcaica e maschilista. Al contrario, Adela cerca di rompere il ciclo di passività e di sottomissione per ribellarsi al dominio maschile. Entrambe le donne servono a caratterizzare Martinón come un animale selvatico, una bestia i cui unici obiettivi sono sopravvivere, nutrirsi e marcare il suo possesso attraverso istinti sessuali atavici.

 

 Senza alcun dialogo per i primi diciassette minuti, la macchina da presa mostra con scrupolosità documentaristica, i gesti quotidiani di un cacciatore che vive isolato in un suggestivo paesaggio sulle montagne innevate in un epoca non troppo lontana. Nemmeno un secolo fa, la Spagna era un paese prevalentemente contadino: nel 1930 (periodo in cui si svolge il film) il 68% della popolazione spagnola viveva in piccole città e villaggi. Una storia come quella di Martinón potevadunque essere piuttosto comune a quei tempi, in un’epoca -fortunatamente superata- in cui gli uomini potevano letteralmente comprare le donne e in cui parlare dei propri sentimenti era molto complicato, soprattutto per un uomo come Martinón, simbolo di un passato dalla mascolinità primitiva e retrograda, che difficilmente troverà la redenzione agli occhi del pubblico moderno.

 

La scommessa è rischiosa: trasmettere la solitudine assoluta in cui vive l’alimañero, mostrando la natura in tutto il suo splendore e con tutta la sua crudezza. Per farlo, Fuentes costruisce un personaggio dall’aspetto primitivamente puro, che vive tranquillo e a suo agio in mezzo alla natura incontaminata senza bisogno di nient'altro, fino a quando entra in contatto con la civilità e le cose si complicano. Costumi e oggetti di scena quasi "archeologici"rappresentano usi e consuetudini ormai dimenticati, uniti a un mondo di suoni che forse a molti sfuggono ma che per Martinón hanno un significato più profondo, come il crepitio del fuoco che gli tiene compagnia, l’ululato dei lupi o il vento che soffia tra gli alberi innevati. Fin da subito il regista cerca di far entrare lo spettatore in questo mondo attraverso la sensibilità sensoriale, senza forzare l'empatia nei confronti di un personaggio in particolare, ma con l’intenzione di fargli cogliere l'ambiguità della storia. La decisione di preferire il silenzio al dialogo finisce però per inghiottireil film che somiglia più a un infinito documentario che un dramma.

 

Impossibile non notare in "Sotto la pelle del lupo" dei richiami all’epico western firmato da Sydney Pollack nel 1972 dall'assurdo titolo italiano "Corvo Rosso non avrai il mio scalpo!", in cui Jeremiah Johnson (interpretatato da un giovane Robert Redford) è un soldato che, stanco della vita sociale, si ritira sulle Montagne Rocciose per vivere da eremita in mezzo alla natura.

 

Il regista regala a Mario Casas la preziosa opportunità di sfoggiare l'interpretazione di un uomo che ha deciso di vivere ai margini della civiltà, a prova di come la solitudine sia a volte la migliore compagnia.

L’attore galiziano affronta il suo primo ruolo intimo e introspettivo fino ad oggi, con questo personaggio sfuggente e "difficile da decifrare" la cui comunicazione è spesso attraverso suoni, frutto di tutto quel tempo trascorso da solo sulla montagna. In una intervista, Casas ha dichiarato di aver messo su dieci chili e imparato a spaccare la legna per interpretare al meglio la parte. Per farlo ha trascorso tre giorni con Manolo, un pastore delle Asturie che gli ha mostrato come viveva, come accendeva fuoco e come dormiva in un pagliaio.

Una parte evidentemente al di sopra delle capacità di Casas, che non raggiunge tutti gli obiettivi proposti. L'attore non riesce a trasmettere allo spettatore la solitudine misantropopica caratteristica del personaggio, a dimostrazione -purtroppo- di non essere molto più di quel bel viso con cui ha raggiunto la celebrità (soprattutto femminile) nel suo Paese dove nel 2011 è stato collocato al 1º posto nella lista degli attori spagnoli più sexy secondo il popolare quotidiano 20 minutos.Resteremo sempre con il dubbio se un interprete più esperto come Viggo Mortensen (prima opzione scelta per il ruolo), non avrebbe dato una svolta in più al personaggio.

 

Fuentes, che proviene da una famiglia di campagna, racconta in un’intervista di conoscere bene la montagna asturiana e che l’idea del film gli è nata quando un giorno, facendo una passeggiata nella natura con alcuni amici, gli raccontarono la storia di un uomo che comprò una donna e la portò a vivere con sé in cima alla montagna, finché lei morì e lui dovette ripararla per un anno dai lupi volevano mangiarla, finché non poté scendere per farla seppellire. Da lì Fuentes ha iniziato a creare la sceneggiatura. Priva di tensioni drammatiche però, Fuentes si dimenticadi approfondire personalità e caratteristiche dei pochi personaggi che appaiono in dialoghi già minimalisti. Le lacune di questasceneggiaturasono contenute principalmente nella descrizione psicologica dei personaggi, in particolare il quella del protagonista, che non emerge, a causa di un'evidente mancanza di maturità narrativa che non riesce mai a trasferire le sue vere intenzioni. Il regista racconta in una intervista che Martinón ha perso il padre quand’era molto giovane e sucessivamente ha vissuto per molti anni con la madre fino alla sua morte, ed è curioso che il fatto non venga approfondito in modo esplicito nel film.

 

L'attrazione principale di questa opera è data dalla bellezza dei luoghi in cui sono state effettuate le riprese, grazie al gusto e alla sensibilità del direttore della fotografia Aitor Mantxola. Le meravigliose località caratterizzate da una grande diversità geografica e paesini remoti come Navarra, Huesca e Asturie, acquisiscono una forza insolita e ci introducono nella natura con grande argutezza tra villaggi semi abbandonati e montagne innevate. Famosi alcuni punti di riferimento nel film, come la cascata di Oneta o la grotta Pímpano in Villayón, il pittoresco villaggio di Argul in Pesoz, Os Teixois o il Museo Mills Mazonovo a Taramundi e la cappella Quinta o Mazonovo ferriere a Santa Eulalia.

 

Da sottolineare il lavoro della giovane compositrice malagueña Paloma Peñarrubia. La colonna sonora interpretata dall'Orchestra Sinfonica del Principato delle Asturie, regala un'atmosfera che le immagini da sole non sempre riescono a dare, grazie anche allo txalaparta, strumento a percussione tipico e originario dei Paesi Baschi, che riprende suoni che tengono radicati alla terra.

 

Samu Fuentes è un cineasta che ha sviluppato lavori documentaristici stimabili, ma che esprime i suoi limiti quando si sposta in un ambiente nuovo per lui, influenzato anche dall'interpretazione inesperta di Mario Casas, che cerca di superare una sfida ambiziosa in questo dramma asciutto e viscerale, che lo distoglie completamente dai ruoli per cui è conosciuto fino ad ora, senza purtroppo però raggiungerne tutti gli obiettivi preposti. Sotto la pelle del lupo presenta inoltre un altro handicap: il fatto che venga presentato come "dramma romantico", tema che ha ben poco a che vedere con il film.

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