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Cielo di fuoco

Regia di Henry King vedi scheda film

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vincenzo carboni

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Cielo di fuoco

di vincenzo carboni
10 stelle

Vidi questo film in TV, ovviamente per caso, non ricordo quando. Faticai non poco a trovare il DVD. Vidi e rividi infinite volte due scene di questo film memorabile. La prima, quella in cui il Maggiore Stovall fa ritorno in Inghilterra dopo la guerra: trova sulla vetrina di un rigattiere una caraffa in ceramica a forma di volto, quello di un pirata mascherato. Era l'emblema del bar del campo ad Archbury: se il volto era rivolto alla sala era da intendersi di essere prossimi alla missione. Essendo un pezzo di poco valore, assai sbocconcellato, il titolare si meraviglia delle parole del cliente: «Vi prego di impacchettarlo con cura, con moltissima cura». Stovall torna ad Archbury; i dintorni delle piste sono dominio per i bovini al pascolo, ma il Maggiore sente i cori dei soldati, l'avvio delle eliche, i motori dei bombardieri che salgono a regime per il decollo, e il vento che piega le spighe selvatiche. Si calza il cappello sulla testa e guarda all'orizzonte come se i bombardieri stessero per tornare. La seconda scena è quella in cui il Generale Savage va a trovare il Colonnello Gately in ospedale: quest'ultimo ha taciuto delle sue condizioni critiche dopo essersi lanciato in mare a seguito di un abbattimento, e aver malgrado ciò sostenuto altre missioni. Savage ha fatto di Gately il capro espiatorio del fallimento dello Stormo, non senza qualche buona ragione. Pur essendo stato il vice comandante, non ha dato sostegno al Colonnello Davenport, ha scansato le missioni in volo, si è allontanato dalla guerra attraverso l'attribuzione di funzioni organizzative: "Gately per quello che ne so io siete un indegno, traditore di voi stesso, di questo gruppo e dell'uniforme che portate. La cosa più semplice sarebbe farvi trasferire altrove, affibbiare a qualche comandante ignaro un peso morto. Forse sperate di cavarvela così a buon mercato passando ad altro reparto, ma io non faccio a scaricabarile. Intendo tenervi qui. Odio gli uomini come voi tanto da farvi subire le più mortificanti e tremende umiliazioni. Vi farò desiderare di non essere mai nato".Ora però Gately -tornato al regime operativo- ha condotto molte missioni con una vertebra fratturata. Umiliato dal suo nuovo Comandante, ferito nel suo stesso onore di soldato. Gately si ritira nel suo scafandro di sofferenza, e di rivincita morale, fin quasi a morirne. Ora è in un letto di ospedale, e aspetta. Savage è scosso. Vorrebbe dire, ma cosa? I campi e i controcampi sono straordinari, la luce disegna con le sue ombre i contorni entro cui i volti sono imprigionati, più precisamente prigioniere sono le parole che non riescono a essere dette, nonostante insistano nel loro mancare. I silenzi seguono a parole di corcostanza. Savage invece di dire la cosa, invece di riconoscere al Colonnello l'integrità morale riconquistata col sacrificio di sè, chiede se abbia bisogno di qualcosa, qualunque cosa. Gately risponde mortificato di no, che ha tutto ciò che gli occorre. La cosa che vuole è solo una parola, solo riconoscimento. Savage si congeda con una scusa, congedando anche il proprio disagio. Gately dalla porta a vetri lo vede conferire con l'infermiera. Questa torna un istante dopo con dei panni morbidi: «Siete stato qualificato come un cliente extra, colonnello. Mi hanno detto di farle un trattamento ultraspeciale». Se le parole mancano, fossero anche solo di circostanza, non resta che sostituirle con delle cose (hai bisogno di qualcosa?); quand'anche le cose siano fuori luogo, Savage approfitta dell'infermiera per concedere tramite lei il tocco dell'umano a colui contro cui si è gettata -seppure a ragione- quel tipo di inflessibile severità che è possibile chiedere solo a sè stessi. Gately dopo le parole dell'infermiera cede alle lagrime. E anch'io. Chissà perchè...

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