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Tutti giù per terra

Regia di Davide Ferrario vedi scheda film

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La recensione su Tutti giù per terra

di nasodicleopatra
8 stelle

«Tutti giù per terra !» come l’esito di un gioco dell’infanzia; solo che qui “tutti” è l’”everymen” del protagonista. Walter si connota, per l’appunto, come un luogo dove passa l’attuale e inane dimensione giovanile, è un punto di transito subìto, per cui paradigma della passività. Come già è stato notato la voce over di W. (Valerio Mastandrea), su cui pure si focalizza la narrazione, non coincide con l’istanza enunciatrice che è invece, con l’uso di strane angolazioni, rallenty e di diversi formati (video e b/n), appannaggio del regista, dunque Ferrario non fa che raccontarci di uno che racconta e Walter parla perché non sa agire. L’unico riconoscimento, la pubblicazione del diario su UNDER 24, è ancora una operazione narrativa, del rimanente: non studia, non lavora (se non part-time) e non ha rapporti sessuali. La sua verginità - urlata - è un marchio stampato sulla fronte e diventa segno della non-azione quando dice “gli altri pagano per fare l’amore, a me pagano per non farlo”. Il giovane non fa niente per vivere e vegeta ai margini della società; tuttavia risultando docile, simpatico e alla buona occorrenza servizievole, non se ne costituisce parassita: il rapporto giovane/migliore-amico-dell’uomo si istituisce come umiliante riscatto morale alla mancata produttività ed è il binomio che motiva la non casuale metafora canina che sottende tutta la pellicola. Le informazioni sul servizio militare decide di procurarsele da un amico del battaglione “Dobermann”, va alla posta per una raccomandata e l’impiegata tira fuori un cucciolo, l’ente assegnatoli per il servizio civile è il C.A.N.E. dove dipenderà da un funzionario che si chiama Lupo, guadagna qualche lira facendo il dog-sitter, infine conosce attraverso video-lettera (su musica dello Zarathustra di R. Strauss!) colui che che diventerà l’unico amico: un tipo attivo studioso e politicizzato il cui nome, sintomaticamente e pericolosamente, è Castracan.
Tuttavia il gesto filmico di Ferrario non è di chi giudica, non costruisce antinferni per ignavi anni ’90, né il suo sguardo gli risparmia di coinvolgersi in un processo di identificazione col personaggio: con l’anticipazione della scritta “prossima apertura”, l’iniziazione sessuale di Walter avviene in un negozio di acquari in allestimento dove un cospicuo numero di vasche-schermo e un’”apparizione” (non a caso Fatima, che W. incontra nel campo nomadi) si manifestano come i segni costitutivi dell’esperienza cinematografica. Il regista guarda infatti la generazione di Mastandrea con gli stessi occhi con cui Walter segue l’apparizione e lo spirito oramai disilluso con cui il protagonista commenta il furto di Fatima - “anche lei ruba per avere un reggiseno di pizzo che vede nelle pubblicità” - è il medesimo con cui Ferrario registra l’inconsistenza di questa gioventù.

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