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Museo - Folle rapina a Città del Messico

Regia di Alonso Ruizpalacios vedi scheda film

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La recensione su Museo - Folle rapina a Città del Messico

di obyone
6 stelle

 

Gael García Bernal

Museo (2018): Gael García Bernal

Gael García Bernal, Leonardo Ortizgris

Museo (2018): Gael García Bernal, Leonardo Ortizgris

 

Alonso Ruizpalacios è in debito di riconoscenza. Cita lo scrittore new age Carlos Castaneda, el conquistador Hernán Cortés ma anche Giovanni Battista Belzoni padre dell'archeologia moderna ed, infine, il sanguinario dio atzeco Tlaloc. E, in uno scatto di umiltà, definisce questa sua opera "la copia esatta dell'originale". Con questa presa di posizione inizia e finisce il racconto di Alonso Ruizpalacios che vuole riprodurre in un solo film l'intreccio tra civiltà ispanica e cultura precolombiana che ha dato vita all'identità del Messico moderno. Un'identita, che modellandosi sulla commistione tra culture del nuovo mondo e del vecchio continente, si sintetizza alla perfezione nel simbolo del paese, il Museo Nacional de Antropología, ove sono custoditi manufatti straordinari delle civiltà che hanno dominato il continente prima dell'avvento di Colombo e della conquista spagnola. L'autore messicano cerca di replicare, al cinema, il clamore suscitato dal furto di reperti precolombiani avvenuto nel 1985 a danno del Museo per mano di due studenti di veterinaria. Una rapina che ebbe dell'incredibile perché perpetrata da due giovani qualunque che ebbero l'ardire di progettare un furto ai danni di un'istituzione così importante gettando il paese nell'indignazione. Ruizpalacios prende spunto dalla vicenda e racconta l'episodio nella sua intelaiatura sentendosi libero di modificare i particolari, dovendo cambiare i nomi dei protagonisti restii a farsi coinvolgere ulteriormente. Così ecco che la mente del piano diviene lo studente di veterinaria Juan Nuñez (Gael Garcia Bernal) mentre l'amico d'infanzia e tosatore di cani, Benjamin Wilson (Leonardo Ortizgris), ricopre il ruolo dell'amico fedele ma poco sveglio. Il regista messicano, lontano dal dovere di cronaca, è libero da vincoli e sfrutta la sceneggiatura per corroborare la propria tesi che l'anima del paese è meticcia ed il Messico è figlio della ricca cultura precolombiana e della spregiudicata sete di ricchezza dei conquistadores. Ciò che oggi ammiriamo nei musei è il risultato della bellezza artistica tramandataci dai posteri o più prosaicamente il frutto della profanazione delle tombe. Racconta Wilson, voce fuori campo che ci accompagna per tutta la durata del film, che i lavoratori discendenti dei maya lasciano le proprie offerte sulle tombe vuote degli avi a Palenque non appena si chiudono i cancelli dietro le spalle dei turisti. Il mattino seguente ripuliscono tutto prima dell'inizio del nuovo giro di fotocamere e cineprese. Il trasporto rocambolesco del dio monolite all'istituto antropologico è un'altra impresa per lo spirito nazionalista messicano ma in realtà è uno scippo bello e buono che fa maturare nel cuore del piccolo Juan (lo stregone di Castaneda?) l'ideale romantico della rivalsa per i discendenti degli antichi popoli che si consumerà in un rito sciamanico nella terra dei morti. L'ideale sopravvivrà, solo simbolicamente, all'età adulta avida di erba da fumare e bramosa di una piramide di soldi che faccia del giovane Juan un vincente, un uomo capace di lasciare traccia originale del proprio passaggio in mezzo ad una gioventù omologata e piena di contraddizioni che si scaglia contro Babbo Natale simbolo del capitalismo americano ma al contempo prende a man bassa tutto ciò che i soldi possono offrire. Ma il regista va oltre la causa amerinda in una delle scene più riuscite, all'interno di una ricco villaggio turistico, dove intriga i protagonisti in una prolissa conversazione sull'archeologia che da una parte ha permesso al mondo di conoscere civiltà antiche rendendole patrimonio dell'umanità ma dall'altro ha ingrossato un fiume di laido denaro che scorre verso le tombe e i palazzi dissotterrati per tornare indietro sotto forma di reperti che nel migliore dei casi vengono esposti al British Museum e nel peggiore rimangono confinati nei caveau inespugnabili di miliardari egoisti. Il film non manca di tematiche da affrontare. Un ulteriore filone importante da seguire riguarda il rapporto conflittuale tra padre e figlio che mette a dura prova l'intera famiglia Nuñez. Un dualismo tra establishment e desiderio di spaccare il mondo che logora i nervi e restituisce le contraddizioni di chi in gioventù è stato idealista ed ora non lo è più. Nonostante la ricchezza dei temi qualcosa non funziona in questo film. In particolare l'eccessiva lunghezza ed una seconda parte (il road movie) che perde di ritmo rispetto ad una prima in cui viene descritto perfettamente il contesto storico/famigliare e la personalità burrascosa di Juan. Il road movie dovrebbe dare movimento ad una storia che in realtà sembra già finita quando Juan e Wilson si lasciano andare ad una pisciatina liberatoria. Se la regia mostra le sue doti con tutti i tipi possibili di inquadrature l'omaggio a "Y tu mamá también" di Cuaron sembra fin troppo scontato, non solo nella scelta di Bernal come protagonista ma anche in alcune scelte narrative (le scene sulla spiaggia ed il posto di blocco con i soldati). Il finale, forse catartico o forse l'egoistico tentativo di ottenere il classico "quarto d'ora di celebrità", se non altro, risolleva il risultato globale garantendo al film la sufficienza e lasciando ai posteri un altro lavoro interessante della nuova e rinata cinematografia messicana.

 

Cinema San Benedetto - Ferrara

 

Simon Russell Beale, Gael García Bernal, Leonardo Ortizgris

Museo (2018): Simon Russell Beale, Gael García Bernal, Leonardo Ortizgris

scena

Museo (2018): scena

 

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