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L'albero dei frutti selvatici

Regia di Nuri Bilge Ceylan vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su L'albero dei frutti selvatici

di alan smithee
8 stelle

FESTIVAL DI CANNES 2018 - CONCORSO

CINEMA OLTRECONFINE

Il ritorno a casa di un aspirante giovane scrittore 21enne, osservatore imprevedibile e dai gesti spesso improvvisi e disarmanti, getta scompiglio all'interno di una famiglia già di suo divisa per interessi, cultura, abitudini: un ménage insolito, moderno, scientemente condiviso ed accettato dai vari membri, e che vede i genitori prima consapevolmente ed ironicamente separati in casa, almeno fino all'allontanamento sempre più duraturo del padre, professore in attesa della pensione, ritiratosi volontariamente presso un podere di famiglia, proteso alla ricerca di uno stile di vita legato ai ritmi della terra, ed ostinatamente proteso a trovare una vena d'acqua tramite lo scavo di un pozzo profondo, da cui tuttavia non riuscirà a trarre alcunché di concreto ed utile.

Ma il ritorno del figlio, con i suoi gesti improvvisi, i suoi sguardi disincantati e ironici, il suo modo quasi irruento di rapportarsi con vecchi compagni e personalità anche più rappresentative del suo villaggio natale (un lunghissimo sipario filosofico con l'imam del luogo dà vita quasi ad un film nel film, tanto è lungo e fitto quel dialogo), e soprattutto la responsabilità gravosa e penetrante, a stento sdrammatizzata, fornita dalla ultimazione di un libro autobiografico da pubblicare, tutto ricordi e sensazioni maturati all'interno, unito alla voglia di confutare - con la sua presenza in loco -  in qualche modo i pensieri e i ricordi che hanno ispirato lo stesso volume, permettendo ai pensieri e ai sentimenti di concentrarsi in un supposto romanzo di formazione di cui realmente conosceremo ben poco -  non farà che maturare complessi contrastanti sentimenti.

Nuovi disagi, nuove incertezze, nuovo scompiglio tra i testimoni di un passaggio anche sociale che sta traghettando ancora oggi più che mai la Turchia del passato, verso la strada tortuosa e pericolosa che potrà forse traghettarla verso i connotati di una nazione moderna, che sa tenere da parte influenze storico religiose del passato ed i suoi contrasti e le insanabili incertezze anche dovute anche ad una localizzazione geografica nevralgica, se non scottante, epicentro com'è sempre stata di culture e continenti troppo differenti per tollerarsi senza provocare scintille.

Istinti, reazioni, desideri di rendersi conto e di stilare bilanci e riflessioni che si esprimono addentro ad un disagio interiore che spinge il singolo a rapportarsi con gli altri tramite comportamenti istintivi, a volte difficilmente tenuti sotto controllo, e all'interno di un teatro naturale che cattura e accentra su di sé molta parte della attenzione del pubblico. Uno scenario che acquista via via sempre più importanza, che riesce a mutare poco per volta, diventando - grazie anche a riprese virtuose e mobili abbastanza inconsuete per il regista, fino ad ora piuttosto avvezzo alle panoramiche mozzafiato, ma tramite piani fissi o davvero impercettibilmente mobili - poco per volta da neutro ed appena accettabile, a stupefacente e quasi irreale per impatto scenico e bellezza sconfinata.

Strategia non nuova nel cinema contemplativo e riflessivo di Nuri Bilge Ceylan, e che qui, almeno come nella palma d'Oro Winter Sleep, diventa qualcosa di più che un semplice contorno funzionale ad una storia tutta intima di inquietudini a stento soffocate dall'ostinata abitudine a rapportarsi entro un mondo dai tratti per certi versi ancora civili.

"The wild pear tree" riesce a prendersi tutto il tempo utile e necessario per tracciare le linee caratteriali bizzarre e imprevedibili di un giovane inquieto che, col suo ritorno, si sente in dovere di comprendere ormai definitivamente se il proprio posto nel mondo è proprio quel luogo natio, tanto caro ma anche tanto ugualmente osteggiato, o al contrario il suo destino è da rintracciarsi altrove.

Ed è magnifico perderci nei sogni o deliri del protagonista, di cui il regista diviene complice onirico attraverso soluzioni a sorpresa che prendono forma di sogni - o più spesso incubi - ad occhi aperti, in grado di far vacillare anche un carattere imperturbabile ed ironico come quello del nostro giovane protagonista, sempre perennemente distratto dal suo divagare in dialoghi e digressioni che si rivelano tuttavia qualcosa di ben più profondo e razionale di semplici e superficiali divagazioni guidate dal proprio disincantato atteggiamento verso il mondo esterno.

 

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