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The Irishman

Regia di Martin Scorsese vedi scheda film

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La recensione su The Irishman

di lolly75
9 stelle
 Una cipolla.
Tutti la usiamo in cucina per impreziosire piatti succulenti, per dar gusto, per animare il palato. Avete mai sbucciato una cipolla? Al di là della commozione indotta dall'infiammazione dell'iride si presenta in strati sempre più teneri ed intensi. Tanto che di solito la buccia si butta direttamente nell'organico.
Martin Scorsese per noi cinefili incalliti è la cipolla della settima arte.
Non perchè si adatti a qualunque piatto ma perchè con la sua maestria da sempre insapora il menù, ricco o meno che sia. Anche nelle opere meno riuscite è difficile non trovare uno o più spicchi della sua immensa bulimia culinaria, immaginifica. Un Tarantino antelitteram. Un "classico" in vita. Il Regista.
Non si può non amare questo cineasta per ciò che ha espresso negli anni generosi della sua maturità artistica. Non è difficile vedere nel Joker di Phoenix il Travis Bickle di Taxi Driver. Non a caso la scelta della produzione della fortunata pellicola, genesi della nemesi di Bruce Wayne, di ambientarla nei fecondi anni 70.
Veniamo all'oggi. Scorsese culla il sogno di una reunion, di un canto del cigno per il genere che lo ha consacrato con pietre miliari come "Goodfellas" e "Casinò" ma necessita di un cast strepitoso e di tanti soldini per far le cose per bene. Ecco entrare con capitali freschi Netflix, non nuova ad operazioni del genere soprattutto dopo il meritorio recupero del montaggio di un Orson Welles d'annata piuttosto che il successo suggellato agli Oscar di Cuaron con "Roma".



Con il grano in saccoccia il buon Martin può fare la spesa e imbandire la tavola con i commensali a lui cari. Il pranzo è servito? Eccome! Dall'antipasto che richiama le pellicole sopracitate si passa ai primi e secondi che nel suo stile puro presentano piatti semplici ma farciti d'ingredienti sapientemente cotti, cucinati a dovere. Ma questa volta il dolce manca. Alla festa iniziata quasi trent'anni fa con ascese italoamericane allo scranno della Mafia si sostituisce la lenta agonia di una casta che per perdurare mangia e digerisce sè stessa, senza più voracità ma con freddezza disumana. La violenza elegiaca di allora si trasforma in veloce esecuzione chirurgica. Fino all'atto finale, al non ritorno, al Padrino senza anima.
Scorsese sceglie sorprendentemente un registro televisivo per salutare la sua brigata, quasi sia Netflix stessa a suggerirglielo, piuttosto che imporglielo. La sua regia geometrica, barocca, purista si piega al formato del piccolo schermo non rinunciando però alla ricchezza di un accurato montaggio che risalta la prova degli attori, amalgamando come solo i grandi chef sanno fare le varie portate del menù. Molti non ricordano che il regista americano per eccellenza non è un autore. Lui trasforma le idee di altri, le elabora per immagini, le spoglia, le impreziosisce. Con un suo ritmo, con una sua idea di cinema in movimento. Un'artista fa questo a prescindere dalle critiche. E Scorsese verso il suo tramonto abbandona sorprendentemente la sua cifra per piegarsi al nuovo mezzo. Lo piega alla storia che racconta. Qui non si fa un capolavoro, ma si partecipa ad un'elegia; potente, nichilista, necessaria.
Sapendo di avere ingredienti di prima qualità lascia spazio ai primi e medi piani per salutare al meglio la meglio gioventù di una volta.
Tra un Pacino gigione nel sanguigno ruolo di Hoffa, un Pesci ritornato, rinato, donato allo spettatore adorante, la grande e definitiva performance appartiene al preferito di sempre: un Bob De Niro capace d'indossare una maschera di misura e distacco che suggella dopo anni di pessimi ruoli la capacità di riscatto totale. Qui veramente si fa Cinema. Non importa il mezzo, nemmeno lo streaming, neppure le polemiche fittizie sulla distribuzione sul grande schermo.
Al grido di capolavoro si vende la merce in questo mondo globale e tecnologico.
Ci drogano con cultura scadente, ammuffita, nel migliore dei casi reinventata. Il microonde.
Qui il nostro alfiere ci offre una grande abbuffata che ci lascia con il sapore amaro; quella sensazione che dall'inizio di quest'opera così malinconica, o meglio rattristante, narra di grandi amicizie, di destini scritti, di favori richiesti.
La Mafia attraversa la storia americana, si adatta, si trasforma, si sacrifica, si trasmuta. E gli stessi uomini che un tempo si glorificavano nella violenza e nel potere qui attraversano la vita con lo scopo di preservare il proprio posto senza dare spazio significativo alla famiglia, ai figli, al futuro. La preservazione della specie, neppure la prosecuzione. Il nichilismo al potere. Irishman non si pente, non tradisce, non emoziona. La figlia lo giudica costantemente fin da piccola. E' uno specchio dove non ha mai il coraggio di riflettersi. Fino alla fine. Non c'è spazio per la redenzione, nè per la pietà.
Molti si aspettavano un ruggito del regista che fu. Altri un 'ennesima beatificazione dei suoi personaggi più famosi.  Martin ha preferito il viale del tramonto.
"Quello che va fatto deve essere fatto...". Un imbianchino fa sempre la sua figura.
Possono scrivere che dura più del dovuto, possono scagliarsi sul ringiovimento digitale degli attori, possono attaccare la regia piatta, televisiva, possono urlare che non è un capolavoro.
Possono sbraitare quanto vogliono ma pochi dicono che questo è il migliore Scorsese degli ultimi anni, concentrato sui suoi personaggi, sulle storie, sulla Storia, sulla mortalità delle idee.
Non rimarrà scolpito nel tempo, ma probabilmente sarà il suo canto del cigno.
Nel suo habitat naturale. Un'oasi senza più miraggi, nè predoni. Una grande pozzanghera dove le anime non cercano neppure scampo. O se lo fanno è tardivo.
Se questo non è grande cinema senza esserlo ditemi cosa siamo diventati. Pretese. Aspettative.
Da fine mese su Netflix. Guardatelo. Poi odiatemi o voletemi bene. Ma guardatelo. Con impegno. Altrimenti tanto vale accontentarsi dei vari Joker.
Il cuore della cipolla.
Gustatelo. Ma prima di arrivarci vi tocca la buccia e qualche strato meno saporito.
Re per una notte.
Re per sempre.

"Sul sentiero tra le dune ho incontrato mia madre,
 lei però non mi ha visto. Parlava con un'altra
 signora e ho sentito che diceva: tutti
 qui mi trovano simpatica.

 Sapevo che era vero per il rumore
 delle conchiglie sbriciolate sotto i suoi piedi.
 Poi ho visto mio fratello e il mio fratellastro
 in cammino con il mio stesso passato,

 caos e inquietudine. Il Mare del Nord schiumava
                  selvaggio.
 Attraverso di loro vedevo il sentiero. Vorrei trovare
                ora un tesoro,
 un dente di narvalo portato a riva, o dell'oro,

 e tutto tornerebbe a posto."

                                                                                 Cees Nooteboom
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