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The Irishman

Regia di Martin Scorsese vedi scheda film

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La recensione su The Irishman

di ethan
9 stelle

La macchina da presa, con il sottofondo di una musica suadente che sarà il leit motiv della narrazione ('In The Still of the Night'), si muove sinuosa in avanti all'interno di un ospizio e arriva ad inquadrare in primo piano un uomo anziano che inizia a raccontare la sua incredibile esistenza: l'uomo è Frank Sheeran (Robert De Niro) - sicario della Mafia al soldo del boss di Philadelphia Russell Bufalino (Joe Pesci) - la cui storia, in più punti, si intreccia con quella con la S maiuscola del suo paese, l'America, e in particolare con la scomparsa del potente capo del sindacato degli autotrasportatori , Jimmy Hoffa (Al Pacino).

Questo è l'incipit, magistrale, di 'The Irishman', opera di finzione n. 25 di Martin Scorsese, tratta da 'I Heard You Paint Houses' di Charles Brandt, tradotto da noi con 'L'irlandese. Ho ucciso Jimmy Hoffa' e mirabilmente scritta per lo schermo da Steven Zaillian: il cineasta newyorchese, grazie all'accuratezza dello script nonché alla precisione chirurgica del montaggio della fidata Thelma Schoonmaker, riesce a condensare la miriade di fatti e persone che si dipanano in un arco di tempo molto lungo, che va dalla fine del secondo conflitto mondiale fino alla fine del secolo scorso, nelle emozionanti tre ore e trenta circa di durata della 'colossale' pellicola.

Martin Scorsese torna ancora una volta al film di genere gangsteristico e alla narrazione degli atti di un microcosmo delinquenziale - nello specifico la mafia italoamericana e le sue connessioni con industria, sindacati e politica - analizzato in profondità nei suoi ripetitivi rituali, consistenti in incontri, pranzi, accordi sotto banco, vessazioni, violenze verbali e fisiche e, ovviamente, omicidi, tutti canalizzati al fine ultimo di detenere e tramandare il potere e accrescere il proprio status economico.

'The Irishman' però, rispetto ai capolavori del passato, è diverso negli umori, che si rispecchiano nelle scelte stilistiche e narrative: al clamore e alle scene madri, fatte di roboanti omicidi, descritti con dovizia di particolari e mostrati spesso e volentieri in maniera virulenta e raccapricciante, si sostituiscono un quantitativo anche maggiore di morti ammazzati, ma stavolta gli atti criminosi vengono scientemente raccontati o tramite uno stop-frame e una dicitura dell'evento sullo schermo, oppure facendo ricorso a inquadrature in campo medio o addirittura con l'uso del fuori campo, e compiuti in maniera frettolosa e sbrigativa; dai vertiginosi montaggi di film come 'Quei bravi ragazzi' e 'Casinò' si passa ad un ritmo compassato e solenne, mentre per la pungente ironia mista a humour nero dei predecessori non c'è (quasi) più spazio, perché, alla fine, rimangono solo i rimpianti e la sinistra presenza della morte...

'The Irishman' brilla, va da sè, per l'uso che l'autore italoamericano fa dei suoi attori prediletti (Robert De Niro, Joe Pesci e Harvey Keitel, quest'ultimo un po' sacrificato nello scarso minutaggio ma in ogni caso incisivo), con l'aggiunta di una 'Guest Star', proveniente da un'altra saga del Gangster Movie che ha fatto storia, la trilogia de 'Il padrino', ossia Al Pacino: Robert De Niro, con un maiuscolo lavoro di sottrazione, cesella un outsider come Frank Sheeran, un individuo che ha compiuto turpi omicidi (nel gergo mafioso 'dipingere case'), che ha sostituito l'amicizia alla complicità, che resta fedele al codice criminale che ha fatto proprio ma non ottiene il perdono cercato in maniera spasmodica della figlia più giovane, Peggy (Anna Paquin, i cui sguardi e silenzi sono più eloquenti di mille parole, che risulta il ruolo femminile più significativo) e finisce i suoi giorni nell'anonimato più assoluto; Joe Pesci, boss subdolo e dal potere smisurato, al quale nemmeno serve alzare la voce per muovere le fila dei suoi complotti, recita in maniera ancor più compassata e diametralmente opposta allo psicopatico personaggio ritratto ne 'Quei bravi ragazzi, che nel 1991 gli fece vincere l'Oscar come non protagonista; Al Pacino infine, il quale, nelle vesti del vulcanico, discutibile e logorroico capo dei Teamsters, i camionisti americani, dà vita ad un personaggio 'bigger than life', volutamente sopra le righe, dalla battuta sempre pronta ma che compirà atti che gli saranno fatali.

'The Irishman', aperto dalla suddetta scena virtuosistica che ci introduce il protagonista e chiuso dall'inquadratura, già memorabile, del medesimo che si staglia dietro una porta socchiusa, come a voler lasciare uno spiraglio per il futuro, è un compendio dei temi scorsesiani della colpa, dell'espiazione, della vendetta, del rancore e del rimorso, una summa e, al contempo, una pietra tombale di un tipo di cinema, quello gangsteristico, che ha contribuito alla grandezza del cinema americano: dall'epica, mista a tragedia greca, della saga coppoliana de 'Il padrino' si è passati all'iperrealismo de 'Quei bravi ragazzi', per chiudere il cerchio con il crudo realismo di 'The Irishman'. Definitivo.

Voto: 9 (v.o.s.).

 

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