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Venom

Regia di Ruben Fleischer vedi scheda film

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La recensione su Venom

di supadany
7 stelle

La fretta è una cattiva consigliera, anche pericolosa quando riguarda un pezzo grosso della società, pronto ad abbattere gli steccati dell’etica scientifica per raggiungere fini personali, che nulla hanno a che vedere con la prosperità dell’umanità. Fortunatamente, c’è sempre il buono di turno, solitamente un po’ sfigato, abbandonato da tutti e colpito da una qualche imprevista fulminazione, che si mette di mezzo, mandando a rotoli progetti di distruzione di massa.

Detta così, sembra proprio un logoro canovaccio da film di supereroi ma Venom, pur mettendoci un po’ a sgranchirsi le mascelle, ha nella manica le carte giuste da giocarsi per non finire strozzato all’interno di una categoria sempre più invadente.   

Eddie Brock (Tom Hardy) è un giornalista d’inchiesta, la cui vita perfetta va a rotoli quando affronta a muso duro l’ambizioso ed esageratamente influente Carlton Drake (Riz Ahmed).

Perso il lavoro e la fidanzata Anne (Michelle Williams), Eddie ha l’occasione per smascherare le malefatte di Carlton, ma durante la sua indagine subisce l’aggressione di Venom, un alieno simbionte che s’impossessa del suo corpo.

Dopo gli inevitabili scompensi iniziali, tra i due comincia una sorta di collaborazione, finalizzata a sconfiggere un (doppio) nemico comune.

 

Tom Hardy

Venom (2018): Tom Hardy

 

Dopo essere apparso - senza suscitare particolari entusiasmi - in Spider-man 3, Venom acquisisce un capitolo tutto suo, rilanciando il ramo Marvel in mano alla Sony. L’onere di questa origin story spetta a Ruben Fleischer, un regista che aveva esordito alla grande con Benvenuti a Zombieland, per poi perdersi tra un film inutile qual è 30 minutes or less e un gangster movie smodato come Gangster squad.

Dunque, non a caso le premesse non erano granché invitanti e in ugual modo l’approccio fa temere il peggio. A tutti gli effetti, fino a quando segue i classici schematismi del filone di appartenenza, Venom è una palla al piede, per giunta strutturato faticosamente, per scrittura, montaggio e qualità anche dei materiali di più facile gestione. 

Però, è solo questione tempo, giacché non appena scopre le sue carte, creando il binomio (vincente) Eddie/Venom, si trasforma in un’ira di Dio e non molla più la presa. Infatti, individuato lo spirito guida, non si ferma più, amalgamando un sense of humour felicemente sbruffone a un ritmo vertiginoso, che il direttore della fotografia Matthew Libatique (Iron man, mother!) tiene a bada, creando macrosequenze adrenaliniche senza eccessivi scompensi dettati dal caos, sfruttando le infinite possibilità offerte da una materia plasmabile attraverso le modalità più disparate.  

In questo modo, una volta apparecchiata la tavola, Venom acquisisce una scorrevolezza invidiabile, nonostante non possa ovviare alla risoluzione di rito, con una sceneggiatura tanto traballante sulle linee base, quanto squillante sugli additivi del contorno che, giovandosi dei dialoghi in stile coscienza tra il simbionte e Eddie, si prendono la ribalta a mani basse.

Oltretutto, la scelta del protagonista è stata un colpo da novanta. Tom Hardy sostiene il film anche nei momenti peggiori, per poi fare una differenza mostruosa quando il suo personaggio finisce posseduto, stressato fino alla consunzione e schiarito oltre ogni logica comprensione. Al suo fianco, Michelle Williams, per una volta estraniata da registri drammatici (Manchester by the sea, Blue Valentine e I segreti di Brokeback mountain, giusto per intenderci), è una presenza deliziosa (sulla falsariga di Gwyneth Paltrow in Iron man, ma con più spazio di manovra), mentre Riz Ahmed (The night of) non dispone di armi sufficientemente affilate per emergere.

 

Michelle Williams, Tom Hardy

Venom (2018): Michelle Williams, Tom Hardy

 

Fatte le debite addizioni e sottrazioni del caso, Venom presenta aspetti in aperta contrapposizione, ma viene premiato dall’ordine (è sempre meglio piazzare il meglio nella seconda fase), non certo dall’assemblaggio, nutrendosi di un più che rispettabile body count, di due scene extra sui titoli di coda (la prima apre a una prossima avventura con un villain d’eccezione, mentre la seconda ci proietta su un titolo di prossima uscita) e di una durata morigerata (alleluja), anche se qualche calcolato raccordo narrativo in più non avrebbe guastato.

Disomogeneo, ma anche spettinato e travolgente quanto basta per uscirne vittorioso.

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