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Hereditary - Le radici del male

Regia di Ari Aster vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Hereditary - Le radici del male

di arkin
8 stelle

 SPOILER ALERT(sconsigliato leggere se non si è visto) - - - - ------------------

 

Opera prima complessa, quella di Ari Aster, soprattutto per la libertà che lascia allo spettatore nell’interpretare il suo contenuto simbolico, ambiguo e per questo efficace, celato al di sotto di una storia la cui trama è molto più semplice ed elementare del sub-strato che ne emerge-cosa che non è un difetto, perché nel suo svolgimento lineare permette di osservare meglio e assorbire quanto si muove sotto. I fatti, così come li vediamo, sono questi: un incipit che presenta una famiglia ,i Graham, in lutto per la morte della nonna materna. Un padre razionale, posato e solidale(Steve), una madre problematica(Annie)che non cela affatto i suoi trascorsi conflittuali con la genitrice, una figlia emotivamente fragile e isolata(Charlie), un figlio in apparenza “a posto”(Peter)- che ha il normale set di fermento interiore di un adolescente(ribellione ai genitori, cotta per la ragazza, etc…). Poco alla volta, si inserisce per sviare l’attenzione l’elemento del disturbo mentale- soprattutto quando Annie decide di partecipare a sedute di gruppo per il lutto, e ci rivela che la madre aveva il DID(disturbo dissociativo di identità), e descrive un background familiare fatto di diagnosi di schizofrenia e depressione paranoide. Ed è così che la prima parte del film, dal punto di vista unicamente dello svolgimento della trama, gioca sul filo della “tara ereditaria”, che avrebbe portato la nonna morta a vessare la figlia e i nipoti, a gettare un’ombra di follia e colpa su Annie, e a provocare così, probabilmente, i comportamenti alienati della figlia minore di lei(Charlie). E rincara la dose quando ci presenta una Annie che confida di aver sofferto di sonnambulismo e aver aggredito i figli durante uno dei suoi attacchi, col proposito di ucciderli. La seconda svolta narrativa, che cambia la percezione degli eventi, avviene quando Annie si fa coinvolgere da una donna del gruppo di sostegno in attività spiritiche, “richiamando” l’anima di Charlie, e ponendo di nuovo lo spettatore di fronte ad una possibilità diversa: quella che in famiglia ci siano dei medium, che tale dono abbia provocato loro problemi psichici apparenti, e che nella casa si stia muovendo il fantasma inquieto di Charlie-e forse anche quello della nonna. Tuttavia, è a circa 40 minuti dal finale che arriva la spiegazione, ma senza colpi di scena improvvisi, dal momento che Aster non ci gioca un brutto tiro non meditato: in tutto il film, infatti, sono disseminati indizi su questo epilogo: dagli strani amuleti indossati dalla nonna o da Annie-riprodotti anche sui tappetini da porta, agli interessi familiari evidenti(libri di occultismo sparsi in giro); dal misterioso capanno che tanto affascina i membri femminili di casa Graham, alle scritte che leggiamo poste sul muro della stanza di Charlie, che fanno riferimento a elementi satanici sempre più chiari…fino a sfociare nel segno vero e proprio di “Paimon”- il demone del film. Comprendiamo anche come l’amica del gruppo, Joan, posta in apparenza come spinta alla prova di seduta spiritica, abbia in realtà ingannato Annie spingendola a compiere un rituale di evocazione a sua insaputa-ma la pinza è posta già in precedenza. Tutto si unisce, tutto si chiarisce: la nonna di casa Graham era l’adepta di un culto satanico, che coinvolgeva chissà quante persone intorno alla famiglia, compresa la misteriosa Joan. Tale setta ha orchestrato l’arrivo di Paimon-un demone, nel corpo di una persona, mettendo in piedi un complotto in piena regola: prima portando Annie ad avere figli in modo forzato, poi invocando Paimon per farlo entrare nel corpo di uno di essi(Charlie). Poi, conoscendo la preferenza del demone per un corpo maschile, facendo in modo di trasferirlo in un ospite adatto(cosa prima non avvenuta a causa dell'allontamento di Annie dalla madre), attraverso il quale-presume lo spettatore- questo signore dell’Inferno possa avere maggior potere e darne ai propri adepti. Il meccanismo-trappola è elementare, e anche se nelle prime svolte Aster devia l’attenzione, pur fornendo di indizi, non forza la mano in una svolta ad effetto. Questa avviene in modo dolce, graduale…i pezzi di riuniscono, gli indizi assumono significato, il quadro si ricompone. Tuttavia, non è nella trama o nel suo corso che sta l’aspetto davvero interessante di “Hereditary”. La storia è quella, non propone trucchi, non è interpretabile-a meno che non si voglia forzatamente pensare che sia tutto frutto delle allucinazioni maniacali di una famiglia di pazzi schizofrenici-e a quel punto la madre avrebbe trafugato corpi, si sarebbe messa a trascinare nei suoi deliri la famiglia intera, avrebbe carbonizzato il marito, fatto ammattire il figlio…e poi? Peter delirante(ma vivo) che vede adoratori del diavolo nella casetta isolata vicino casa? No, non ci sono dubbi che la storia sia quella. Quella del demone di famiglia, dell’eredità scottante di una trappola satanica, del destino segnato di Peter-come in una tragedia, non a caso in classe vengono citati Ercole(che non ha osservato i segnali) e Ifigenia(il sacrificio inevitabile). Anche se già nell’elemento sovrannaturale scattano le prime domande, poste proprio dai quesiti sollevati durante le lezioni alle quali assiste il “Graham predestinato”: poteva l’eroe sfuggire al proprio fato? Era irreversibile, scritto? Sarebbe stato peggio se lo fosse stato, o se non lo fosse stato? Se gli “dei” avevano già scritto il loro libro, cosa poteva fare la vittima, e cosa il sacrificante? Il primo elemento interessante del film risiede in questa domanda. E non è una domanda che rimane circoscritta al dominio del “paranormale”. Trova applicazione proprio nel resto di ciò che emerge nel film, il cui fulcro caldo e angosciante è la questione dell’ “ereditarietà”, o dell’”eredità”. “Il demone che corre in famiglia” e che fa “perdere la testa”(forse proprio un simbolo ironico, e al contempo aggressivamente terribile). “Hereditary” è il mostro dell’eredità alla quale non si sfugge. Ma cosa significa, in termini pratici? Aster, in questo, lascia libero lo spettatore: pensiamo solo alla genesi di questa catena di orrori che pare intrappolare una famiglia intera: la nonna. Nel gruppo di terapia, Annie dice che aveva un “disturbo dissociativo”, per sua stessa natura qualcosa che non nasce dalla genetica, ma dal trauma. E tuttavia, il fratello forse era schizofrenico-malattia con la quale spesso viene confuso il DDI(e non devo aggiungere che molti "interpretano" il disturbo come possessione demoniaca), dunque eccoci alla prima domanda, e forse la prima scelta: l’eredità di una “tara ereditaria”. Della malattia mentale, del sangue…della pazzia che corre in famiglia con volti mostruosi: paranoia, schizofrenia, depressione, ossessione, suicidio, compulsione…morire di fame. Ma quanto, questa eredità, è un fardello ineluttabile come il peso di una predestinazione/maledizione alla quale non puoi fuggire, proprio come non si sfugge al demone, o agli schemi che ti legano ad un destino di nascita? Quanto è generata dal sangue e da catene che non si spezzano, e quanto invece…dal trauma? La nonna di Annie è l’esempio primo e concreto di questa domanda, nella sua stessa essenza di “malata” o di “origine del male”. Pratica un culto satanico, evoca demoni per darvi in pasto figli e nipoti. E’ schizofrenica, o ha un disturbo dissociativo? E' traumatizzata o pazza? E' posseduta o è vittima della sua paranoia?Ovvero: l’eredità, questo mostro che lega a filo doppio coloro che ne vengono coinvolti, è un insidioso bagaglio di geni? Una profezia che si auto-avvera a causa del perpetrarsi di rapporti disfunzionali e traumi in una famiglia? E’ un peso a piombo che un “fato maggiore” pone alla nascita su di noi? Su queste basi, parte quello che potrebbe essere il filo “sotterraneo”, quello simbolico, del film: i Graham sono una famiglia segnata dallo spettro della malattia mentale e della tragedia. Questo spettro è ancora vivo, e vicino, perché non ha passato molte generazioni: suicidi, follia, ossessioni…potrebbero essere giunti a termine solo con la morte della nonna, ma questa ha avuto modo di lasciare le sue orme su figlia e nipote(Charlie), senza che vi potesse essere l’interruzione del cordone o del filo di congiunzione: vediamo così una famiglia che vive soffocata nello spazio di questa eredità, col terrore di essa addosso, ognuno chiuso nel proprio modo di sfuggirle, soprattutto attraverso mezzi compulsivi: Annie e i suoi modellini rievocativi, come uno sfogo ed un esorcismo materiale al fantasma di una madre folle, e al suo stesso problema mentale-espresso unicamente quando è incosciente(è da sonnambula che cerca di uccidere i figli, è nei sogni che confessa a Peter di aver cercato di abortirlo perché non lo voleva); Charlie e il suo schiocco di lingua, la cioccolata(dove l’affetto e l’amore non vengono da fuori), i disegni, le bambole e gli oggetti costruiti-certo, sappiamo che le bambole sono ninnoli per Paimon, e il cioccolato è peccato a lui gradito, ma appunto: simbologie che corrono parallele, che si inter-scambiano e re-interpretano…e forse perché meno vessato c’è poi Peter, che manifesta solo dell’ostilità(volendo giustificata) verso la madre, e moti di ribellione, ma che è colui che è stato fino a quel momento più "protetto" da demone dei Graham… Poi però lo spettro, tenuto a bada in vari modi all’interno di una famiglia segnata da esso, e mai sanato, si riversa fuori quando la morte della nonna esercita su Annie un riemergere di ferite non sanate, e quando Peter entra in pieno nel circolo “traumatico” familiare, con la morte di Charlie, che ha involontariamente provocato, ma dalla quale si scatena in modo chiaro lo stress post traumatico seguente(bella la scena in cui rivede lo specchietto retrovisore in classe, spostando gli occhi, o l'effetto psicosomatico dell'erba, che evoca in lui un episodio di asfissia al ricordo di Charlie)…Ed eccoci di nuovo al punto: il mostro dei Graham si è risvegliato perché(simbolicamente) l’eredità del sangue ha preso a parlare alle nuove generazioni, intrappolandole nella follia, e spargendo il sangue dei più deboli? Perché il trauma dei rapporti disfunzionali della famiglia ha mietuto le sue nuove vittime, riattivando la memoria di Annie, e probabilmente anche quella di Peter? Perché il sovrannaturale ha iniziato a tessere le sue trame che non si possono sciogliere? Annie si porta addosso un passato che possiamo scorgere, e che Charlie aveva ereditato: figli non amati, non voluti, forse persino odiati per il loro sesso(“Voleva fossi un maschio”). Peter si porta addosso dalla nascita l’odio inconscio della madre, e il senso di colpa di “esistere”. E con la morte di Charlie, anche la colpa di “averla uccisa”. Per sfuggire a questo, all’eredità-il trauma, il dolore, la morte, la follia- Annie cerca rifugio nel ricordo, poi nel rigetto del ricordo, nella condivisione, nella psicologia…non ottenendo risposte, nel gioco delle colpe e della rabbia(la scena di litigio a tavola)…e infine, indebolita ogni risorsa…trova sollievo nel sovrannaturale. Nell’uscita dal peso di una responsabilità inumana, e che non ha risposte. Ed è a quel punto, quando sfugge a quel peso, che avviene un lasciarsi andare che non è reale, ma è proprio un tendersi verso la cosa dalla quale si cercava di sfuggire: così Annie cade dentro alla propria eredità (la follia, la morte, il trauma), iniziando il processo che inghiottirà la sua famiglia(la figlia lo era stata per fragilità, Peter lo sarà per la colpa), e i suoi tentativi di slegarsi al passato porteranno solo ad eventi peggiori: bruciando il diario/quaderno da disegno di Charlie, prima usato per evocarne lo spirito, da principio Annie va in fiamme, poi brucia il marito( tentare di distruggere il passato lo fa riemergere come un fuoco; mentre il secondo atto, di delegazione ad altri, “incenerisce” l’ultima connessione con una vita slegata alla propria eredità…), ed infine è…”posseduta”. E il percorso-simbolo legato a questa visione, si può vedere esplicato anche nella casa/case: la prima sequenza che fa entrare in scena i Graham in un modellino(il fato, la trappola, il qualcosa di più grande), le miniature curate in modo ossessivo-patologico(controllo), la casina/capanno vicino a quella abitativa(il passato, i segreti, le cose da nascondere), la casa mostruosa vista prima della seduta spiritica(perdere il controllo), le miniature fatte a pezzi(il peso esplode...) Tuttavia, nell’esporre tutto questo, e nelle riflessioni che nascono attorno al tema, la bellezza di “Hereditary” risiede nella libertà fornita allo spettatore, che Aster non indirizza verso una spiegazione o un’interpretazione assoluta e finale: il regista non nega la sua trama sovrannaturale, nella quale le azioni e gli eventi sono mossi da uno schema predestinato di eventi(siano benigni, o in questo caso maligni), ma neppure conferma tale forza motrice superiore che non lascia scampo, poiché le azioni che la determinano sono una trappola generata da uomini che manipolano uomini e persino l’oggetto del proprio culto(Paimon, che viene invocato, non richiede di esserlo e non possiede gente a caso senza invocazione, ma appare persino spaesato nella sua forma “incarnata”, come un essere traumaticamente portato al mondo); non afferma neanche l’ineluttabilità dell’eredità genetica, o della follia, ponendo in stato di incertezza la sua genesi di sangue, e disegnando in modo ambiguo il suo percorso simbolico, dove il dubbio tra tara irreversibile e passaggio di un “destino” per effetto di dinamiche disfunzionali e trauma è sempre labile. Ecco perché, nell’analizzare il film, diventa spesso difficile compiere una divisione tra la trama puramente scritta, oggettiva, quello che vediamo, e quello che viene nascosto sotto: le domande celate in “Hereditary” sono connesse in modo stretto, a doppio filo; e si srotolano in più direzioni, creando malessere e claustrofobica angoscia, soprattutto nella prima ora di film, dove il gioco di ambiguità è potente, e il richiamo al “reale” più forte. Per quanti, e si spera pochi, comprendano poi il senso tragico del conflitto del film in prima persona, l’effetto è schiacciante, perché la resa del modo in cui un’ “eredità di orrore” si manifesti nella psiche è resa nel cuore della sua essenza: per chi nasce “marchiato” dalla tragedia, da mondi di lutto e follia, trauma e abuso, malattia e mostri familiari... la spiegazione è un inevitabile filo genetico di scatole chiuse pronte ad esplodere senza speranza? E’ una trappola generata da azioni ereditate, e traumi ripetuti, come una “profezia che si auto-avvera” appresa e poi rimessa in scena? E’ un fato scelto prima di nascere al quale non ti puoi opporre e non lascia scelte? E’ qualcosa di evitabile, se solo potessi scorgere la giusta via di uscita e scappare da qualunque legame tu abbia con l’”eredità”? E’ qualcosa di misterioso, al quale non si può dare risposta, e dunque l’unica risposta è lasciarsi andare all’inevitabile, come vittime immolate ad una risposta che sfugge? Peter, qui in qualche modo elemento di empatia della narrazione, è colui sul quale cade, narrativamente, il peso di questo dilemma, e in modo più forte rispetto alla sorella(che vi è nata dentro fino al collo), o alla madre (legame ossessivo con l’eredità, che cerca di bloccare solo in ultimo) e il padre (dentro al conflitto per il rapporto con Annie, e per i figli). Ed è con lui che Aster per un attimo si espone, quando lo porta ad una fuga così imperativa, terrorizzata e straziante da arrivare ad una forma di suicidio. Fisico, ma soprattutto simbolico. Dove il “lasciarsi andare” alla forma di Paimon, nella casina di legno coi suoi adoratori, ha la grottesca forma disperata di un’allucinazione senza scampo. Una resa ad un destino che non puoi spiegare… Se Collette e Byrne sono professionisti consolidati, le sorprese del film sono Milly Shapiro(Charlie) e Alex Wolff(Peter)- quest’ultimo davvero bravissimo(da plauso la sequenza in classe della possessione). Le definizioni non sono per me, quindi non ne darò, ma senza pormi dalla parte di chi grida “capolavoro”, mi risulta altrettanto difficile schierarmi con chi giudica in modo negativo il film di Aster: riuscire a creare un’opera che sovrapponga tanti livelli simbolici e di domande, che lasci allo spettatore il suo filo personale di percezione, che trovi appigli con mondi sommersi così reali…non è facile.

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