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Hereditary - Le radici del male

Regia di Ari Aster vedi scheda film

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La recensione su Hereditary - Le radici del male

di Gangs 87
7 stelle

Ellen matriarca della famiglia Graham, muore. Nella grande casa restano la figlia Annie, artista che compone case di bambola in miniatura, suo marito Steve e i loro figli Peter, liceale poco incline allo studio e Charlie che frequenta un corso di sostegno e adora disegnare e dormire nella casa sull’albero. Più passano i giorni e più la famiglia di Annie si rende conto che Ellen era la custode di segreti oscuri e terribili che mettono sempre di più in pericolo le persone che ama.

 

Il film d’esordio alla regia di Ari Aster è avvolto da un’enorme aura di magnificenza che lo precede nei giudizi e nelle recensioni che lo riguardano. Così quando ci si approccia alla visione della pellicola, le aspettative finiscono per essere altissime e questo vuol dire che la probabilità che lo spettatore resti deluso è molto alta.

 

Fatta questa premessa, di cui anch’io mi sono sentita vittima, devo dire che ho rimandato per molto tempo la visione di questa pellicola, anche dopo averne apprezzate altre del regista in questione, proprio per il timore di ritrovarmi di fronte ad un film sopravvalutato e invece, ho capito perché Hereditary piace così tanto.

 

L’oscura pellicola di Ari Aster che, stando alle parole del regista, si ispira largamente a fatti che hanno coinvolto la sua famiglia in un periodo in cui “è stata chiamata ad affrontare una serie di prove sempre più terribili. La situazione era così grave che abbiamo pensato di essere maledetti” è un film ottimamente strutturato e che, seppur manchevole in qualche passaggio narrativo, ancora lo spettatore in una visione suggestiva e trascinante.

 

Luoghi cupi, in cui i colori scuri prevalgono; è sempre notte, quasi mai giorno e anche quando il sole splende alto nel cielo, la notte la porti dentro, con tutti i suoi incubi che sembrano essere sempre più reali. Qualcosa di sinistro aleggia nella casa dei Graham ed è così potente che già dopo le prime sequenze inizi a guardarti intorno credendo che anche nella tua casa, anche intorno a te, qualcosa ti tenga sotto scacco.

 

La capacità straordinaria di Ari Aster è esattamente questa: chiunque guardi una sua pellicola non è mai solo spettatore ma partecipe. Il regista è così bravo a costruire l’ambientazione attraverso la quale si svolge la narrazione che si viene come risucchiati nel racconto. Parte del merito è anche degli attori protagonisti ma avendo riscontrato questa sensazione in tutte pellicole da lui dirette che ho guardato, mi sovviene pensare che l’artefice di questo stratagemma sia lui e lui solo.

 

Questa lodevole caratteristica finisce per distogliere lo spettatore anche dall’intreccio della trama stessa, finendo (spesso) per non accorgersi che certi ghirigori non tornano. O meglio, sono forzati e poco convincenti. Come è possibile che negli anni Ellen abbia svolto la sua attività oscura a due passi da casa e nessuno se ne è mai accorto? E questo è solo un esempio, il più lampante e meno credibile, per quanto il cinema sia immaginazione, perdonatemi ma non riesco a collocarlo nel racconto. Così come molte altre situazioni che durante la visione mi hanno fatto storcere il naso.

 

Nelle pellicole di Ari Aster si finisce per notare proprio questa sorta di forzatura. Siamo di fronte ad un fatto, fine a sé stesso, che il regista imbottisce di situazioni e drammi, per pomparne l’impatto, fino a sgonfiarlo in un finale mai degno di essere ricordato e quasi sempre meno impattante dell’intera, potente, narrazione.

 

La sensazione costante di dover trattenere il fiato per evitare ogni, seppur minimo, rumore molesto che si protrae per tutte e due le ore di durata, che porta quasi all’asfissia (ma preferisci morire piuttosto che importunare l’entità di cui sei sicuro di percepire la presenza intorno a te) prima di accorgerti che è tutto finito, puoi tornare a respirare, non è successo niente. O quasi.

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