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Copia originale

Regia di Marielle Heller vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Copia originale

di yume
8 stelle

Una storia criminale? Andiamoci piano, quella di Lee Israel è una storia di marginalità, difficoltà a vivere, solitudine, intelligenza e orgoglio di essere quel che si è.E amarezza nel non vederlo riconosciuto in un mondo in cui bisogna esser molto più furbi, molto più glamour, molto più accondiscendenti.E molto meno donna.

locandina

Copia originale (2018): locandina

Copia Originale è il film di Marielle Heller con i due candidati all’Oscar Melissa McCarthy Richard E. Grant, già vincitore del Golden Globe come Miglior attore non protagonista in un film drammatico.

La pellicola è candidata anche all’ Oscar per la Miglior sceneggiatura non originale ed è tratta dall’autobiografia Can You Ever Forgive Me? in cui la scrittrice Lee Israel racconta la storia della sua truffa letteraria nella New York degli anni ’90.

 

Una storia criminale? Andiamoci piano, quella di Lee Israel è una storia di marginalità, difficoltà a vivere, solitudine, intelligenza e orgoglio di essere quel che si è.

E amarezza nel non vederlo riconosciuto in un mondo in cui bisogna esser molto più furbi, molto più glamour, molto più accondiscendenti.

E molto meno donna.

Soprattutto se si è sopra i cinquanta, grasse, mal vestite e non truccate (un velo di rossetto in una scena Lee lo mette ed è un gesto tanto tenero quanto inutile).

Melissa McCarthy, Marielle Heller

Copia originale (2018): Melissa McCarthy, Marielle Heller

 

Lee era una così e doveva pur dare da mangiare all’amata gattina bianca e nera, pagare l’affitto di quella topaia in cui viveva, bere qualche gin tonic (magari più di qualche, ma l’alcool finisce per diventare la droga dei poveri).

E allora ecco il crimine per cui si beccò sei mesi di arresti domiciliari e cinque anni di libertà vigilata: falsificava lettere di personaggi illustri per poi venderle (per cifre risibili, pochi dollari a fronte del lauto guadagno di chi ne faceva commercio regolare) a librerie dotate di clientele ben dotate di collezionisti per cui spendere duemila dollari per un cimelio cartaceo d’autore, cornice compresa, era come bere un bicchier d’acqua.

La Corte le ordinò anche di frequentare un programma di trattamento per l’abuso di alcool.

"Non l'ho mai fatto", ha Lee scritto nelle sue memorie.

locandina

Copia originale (2018): locandina

 

Non sembri questa una difesa, la legge è uguale per tutti e va rispettata, qui si cerca di capire il lato umano di una donna che sta passando alla storia come criminale.

 

Era antipatica, è vero, suscita sempre antipatia chi non le manda a dire e ha una dote che in genere passa per difetto se appartiene ad una donna grassa, brutta, mal vestita e povera: uno spirito luciferino che le suggeriva battute e comportamenti non adatti al cosiddetto bon ton degli ambienti che contano.

Inoltre, Lee aveva una giusta consapevolezza di sé, della sua intelligenza, del fatto che quelle lettere, in parte integrate, in parte inventate di sana pianta, erano decisamente migliori degli originali scritti dai veri autori.

"Era brillante", ha commentato l’agente Carl Burrell dell’F.B.I. che ha lavorato come investigatore principale nel caso Israel, e se lo dice lui possiamo crederci.

 

Brillante, certo, come un diamante grezzo, però.

Al party pieno di quelli che contano, organizzato per celebrare la star di turno del mondo letterario, superpagata e “testa di cazzo”, borbotta Lee, lei arriva sciatta e trasandata, beve quanto può e ruba carta igienica, ne dice quattro alla sua agente che non le dà più un soldo e si fa buttar fuori in malo modo.

A casa l’aspetta il portiere che reclama l’affitto, la gatta che non mangia perchè ha deciso di lasciarsi morire, non tocca i gamberetti che lei le ha portato dalla festa e la veterinaria non la vuol curare perché c’è un conto in sospeso; la vecchia amante, sgangherata come lei, la tiene a distanza (perché sì, Lee era pure lesbica, tanto per non farsi mancare nulla al pedigree) e un lavoretto da mezzemaniche da cui l’hanno licenziata perché aveva mandato tutti a quel paese a voce alta completa il quadro.

Per di più non riesce neanche a vendere quel mucchio pesante di vecchi libri che si è portata appresso.

Lei è Lee Israel?- le fa il libraio da lei apostrofato come “vecchio scimmione” – guardi, i suoi libri sono tutti là, non li vuole più nessuno”.

 

Eppure Lee non era una qualsiasi.

Era cresciuta in una famiglia ebrea a Brooklyn e aveva frequentato la Midwood High School. Si era laureata al Brooklyn College nel 1961 e aveva iniziato a lavorare come scrittrice freelance.

La biografia era il suo genere, di tanti personaggi del jet set internazionale aveva raccontato, e fino agli anni ‘80 era quotata, intervistata dai migliori giornali, addirittura era nella lista dei best seller del New York Times nel 1980.

Poi, come spesso capita negli States e forse anche nel resto del mondo, tranne il terzo e il quarto, arriva l’incidente di percorso e la vita cambia, tutto ti si volta contro.

Quella volta fu la biografia non autorizzata di Estée Lauder, in cui si mettevano in evidenza lati oscuri e magagne della star della cosmesi.

Mai sfidare i potenti se non si è ben corazzati!

Da quel momento Lee fu in caduta libera e arrivò al piano criminale per disperazione.

L’aiutò un altro balordo che aveva perso tutte le strade tranne quella del bar, Jack Hock, nel film il piacevolissimo Richard E. Grant, una specie di dandy omosessuale in disarmo che aveva fascino e doti attoriali sufficienti per vendere lettere quando Lee decise che era meglio non apparire.

 

Richard E. Grant, Melissa McCarthy

Copia originale (2018): Richard E. Grant, Melissa McCarthy

Insomma, la nostra Lee, morta ormai nel 2014, è stato un caso letterario incompreso e lei stessa ce l’ha raccontato nel suo quarto e ultimo libro, quello che dà il titolo originale al film: Can You Ever Forgive Me ?.

Puoi mai perdonarmi?

Come prendere questa domanda? Ironia o sincero pentimento?

Attenzione, prima dobbiamo familiarizzarci col personaggio e Marielle Helle, regista, è brava quanto Melissa Mc Carthy a dipingerla.

Considero ancora le lettere come il mio miglior lavoroha scritto Lee, la copia che supera l’originale, la fantasia che dà vita al piattume del parlar comune e fa brillare quelle lettere grigie di luce nuova, quel post scriptum che mette il peperoncino dove c’era solo melassa o anonime “parolibere”.

 

Questo è il focus del film, l’humor e la tenerezza che avvolgono questa piccola e grassa donna sola nelle strade di una New York che ingoia i suoi figli sfigati.

Potenza dell’ironia che domina sovrana nella vita, Lee è diventata famosa per la carriera criminale che ha attraversato solo tre anni della sua vita e a cui, in qualche modo, è stata costretta proprio dal non riuscire a diventare famosa dove avrebbe meritato.

Non c’è mai comprensione e pietismo fuori luogo, Lee ha sbagliato e deve pagare, ma la sua arringa davanti alla Corte è stupenda, i suoi discorsi al bar, con quel balordo di Hock, il suo amore per la gattina, il suo sguardo fiero e smarrito insieme ne fanno uno di quei personaggi cinematografici che si farà fatica a dimenticare.

Più di quei nomi famosi in cui lei s’incarnava offrendo in prestito le sue parole:

Dear… ecc.ecc.”

 

A questo punto è possibile capire come prendere la domanda del titolo e godersi la musica stupenda anni 70/80 che riempie come un uovo tutto il film.

La sceneggiatura di Nicole Holofcener e Jeff Whitty ha fatto riferimento a cantautori jazz classici che Lee Israel amava moltissimo e a Nate Heller, musicista, è stato affidato il compito di organizzare una colonna sonora "jazz combinata" che fa da tappeto sonoro ad una “storia sbagliata” ma “da (non) dimenticare”.

 

 

www.paoladigiuseppe.it

 

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