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Chiamami Aquila

Regia di Michael Apted vedi scheda film

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La recensione su Chiamami Aquila

di degoffro
8 stelle

Ci sono diversi motivi per ricordarsi di questa simpatica e riuscita commedia romantica, per altri versi prevedibile, programmatica e convenzionale, diretta da Michael Apted reduce dal successo di "La ragazza di Nashville" con Sissi Spaceck e forse più a suo agio con il giallo/thriller – due anni dopo avrebbe firmato il suo film più celebre “Gorky Park”. Prodotta dalla Universal in associazione con la Amblin Enterteinement di Steven Spielberg (che aveva diretto Belushi in “1941 – Allarme a Holywood”) e scritta da Lawrence Kasdan che, come spesso faceva agli inizi di carriera (vedi il noir "Brivido caldo" e il western "Silverado"), tenta di (ri)scrivere un genere della gloriosa Hollywood, in questo caso la sophisticated comedy, con risultati piuttosto spassosi - non gli riuscirà altrettanto bene con il successivo, nefasto, “French Kiss”, firmato peraltro solo come regista. Innanzitutto l’insolita e curiosa ambientazione montana: uno “stramaledetto posto” in cui “c’è tanto silenzio che uno riuscirebbe a sentire il fruscio di un topo”, secondo Souchak. Per un uomo di città come lui l’impatto non può che essere sconvolgente (“Io lavo i piatti e lei spacca la legna: non è una bella prospettiva” è uno dei suoi primi sarcastici commenti), il tutto reso ancora più sorprendente dal fatto che una donna (“Riservata, soddisfatta di sé, autosufficiente, sorprendentemente attraente, anche se potrebbe mettersi un po’ di trucco, una donna arrogante, forse frigida” sono le sue iniziali considerazioni dopo l’impatto iniziale con Nell) abbia deciso di vivere isolata dal mondo, sola con la natura e le sue aquile. Per Souchak poi la vita di montagna porta anche inattesi e poco graditi sacrifici, dal momento che "Ho dovuto smettere di fumare e fare l’amore in un colpo solo”. Una sola certezza per lui: “Tornerà a Chicago rimesso a nuovo” come gli promette Nell. E il personaggio di Nell (curiosa e forse non casuale coincidenza il fatto che Apted avrebbe poi diretto un film con Jodie Foster intitolato “Nell” incentrato su una ragazza vissuta in completo isolamento per oltre venti anni) è un altro punto di forza del film. La donna è un tipo tosto, deciso (l’episodio che vede coinvolti i due cacciatori di frodo, redarguiti e minacciati pesantemente da Nell è emblematico), capace di districarsi con notevole scioltezza e coraggio nelle difficoltà (trasporta Ernie fino alla baita su una slitta improvvisata, dopo che l’uomo si è infortunato durante un’escursione), rifiuta puntualmente i facili e continui approcci di Ernie che le replica seccato “Non si vive solo di montagne e di aquile”, odia a morte i giornalisti perché “sono parassiti, sfruttano le vicende private degli altri, e quel poco che mi capita di leggere sui giornali mi fa vomitare”, è assai felice della sua condizione: “Faccio un lavoro serio, senza pubblicità e in pace. Non sono una cantante pop e non voglio nessun disco d’oro. La pubblicità è banale e volgare!”. Naturale che l’incontro tra due opposti produca scintille, sebbene Ernie, al suo ritorno a Chicago, neghi al suo datore di lavoro ogni tipo di coinvolgimento emotivo: “Non c’era altra merce in giro, che cosa dovevo fare? Se Nell Porter dovesse andare a spasso per Michigan Avenue con una delle sue aquile e mi capitasse di incontrarla direi a lei ciao, bacerei l’aquila sul becco e poi me ne andrei per i fatti miei!”, sbotta, in realtà poco convinto. Molto bella anche la lezione di vita che Nell fornisce a Souchak, durante la notte trascorsa in tenda sui monti, dopo avere rifiutato l’ennesimo approccio dell’uomo: “Bisogna capire la natura: non puoi sopravvivere se non capisci il tuo avversario. Se vuoi conquistare qualcuno o qualcosa devi riuscire a immaginare come l’oggetto di quella conquista, comprenderlo, immaginare cosa si prova a essere come quell’oggetto e questo vale per un’aquila, una montagna, un fiume o per me, à la stessa cosa!”. La perplessità del pragmatico Souchak, abituato, in quel di Chicago, ad avere una donna diversa per notte, è assoluta. Splendida ed originale anche la sequenza in cui Nell, durante una conferenza a Chicago, descrive, in seguito ad apposita e calcolata domanda di Ernie, il drammatico modo di accoppiarsi delle aquile, metafora evidente della sua particolare relazione con l’uomo. Insuperabile poi il manuale di sopravvivenza in quel di Chicago, da parte di Ernie. Poche regole ma ben precise: rifacendosi ai consigli di Nell sulla relazione di coppia, infatti, Ernie dice che anche “a Chicago, per sopravvivere, devi conoscere il tuo avversario. Primo devi ricordarti un numero: 919. E’ la polizia. La linea sarà naturalmente occupata, perché il resto di Chicago cerca di sopravvivere come te. Secondo: non toccare mai nessuno per la strada: penseranno ad un’aggressione e ti uccideranno e per tutti i diavoli non sorridere mai a nessuno, perché penseranno che sei un gay. E nel caso non chiamare il 919 perché ti arresteranno per atti osceni. Non attraversare mai una strada quando senti un’ambulanza in arrivo: è pericolosissimo perché è te che vogliono investire. C’è un’altra cosa: riguarda i soldi. Mai portarli nella borsetta. I biglietti di banca tienili nelle scarpe: un ricco lo riconoscerai subito: zoppica! Questa è una grande città: c’è di tutto.” Una serie di regole impagabili, ideali ancora oggi per ogni metropoli. Perfetta poi l’alchimia tra i due protagonisti. Da un lato un contenuto (rispetto al solito) ma assai efficace, ironico, beffardo, tenero, impacciato John Belushi (qui alla sua penultima prova - il suo ultimo film è stato "I Vicini di casa" - prima della morte improvvisa a soli 33 anni a seguito di un'iniezione mortale di eroina e cocaina) nei panni di un reporter d’assalto, accanito fumatore, velenoso, acuto e perspicace, assai temuto dai potenti (l'attore si è ispirato ad un celebre giornalista del Chicago Sun Times, Mike Royko, a sua volta impegnato in una grossa battaglia contro la corruzione politica cittadina, ed il personaggio di George Clooney in “Un giorno per caso” gli deve molto), a tratti dalla malinconia quasi struggente (splendida e quasi profetica un’affermazione di Souchak “Quello che non mi convince è che mi baci e mi guardi come se stessi per morire”). Dall'altro la sensibile e solare Blair Brown (per lei nomination ai Golden Globes quale migliore attrice non protagonista in un film brillante, vinse Bernadette Peters per il musical "Pennies from heaven" di Herbert Ross con Steve Martin e Chrispopher Wlaken) raramente sfruttata dal grande schermo. Grande anche la partecipazione di Allen Goorwitz, nei panni di Howard, il paterno ed affettuoso direttore di Souchak, comunque, prima di tutto, preoccupato sempre per il suo giornale e soprattutto di mantenere nella sua redazione la penna corrosiva e pungente di Ernie. Una bella favola d’amore a distanza (nel finale, dopo un matrimonio lampo, i due sposi torneranno, momentaneamente, alle loro dimore, promettendosi di rivedersi presto) forse dal ritmo, specie nella parte centrale, un po’ rallentato, con alcuni personaggi superflui o non ben giustificati (il gigante Max Bernbaum, celebre giocatore di baseball che ha scelto la solitudine tra i monti rispetto agli agi del successo sportivo, e condivide con Nell un legame puramente fisico, spassoso comunque il suo primo incontro con Souchak che, di fronte all'irruenza di Max si domanda "Ma chi l'ha sciolto questo?"), ma leggera, gradevole, spigliata, garbata, tenera, realistica, umana, capace di strappare più di un sorriso grazie a battute argute, a dialoghi sagaci e ironici del tipo "Dove andremo ora non ci sono alberi! - Chicago?", e a situazioni comiche spigliate (l'inatteso incontro di Ernie con un puma alla baita). E poi, non ultimo, si trasmette l’amore per la natura ed il rispetto per l’ambiente (quasi un film ecologico, in questo senso) oltre che rinnovare il mito del giornalismo investigativo, fatto di passione per la notizia e per la verità, criticando, invece, attraverso Nell, il giornalismo falso, arrogante ed ingannevole. Non sarà certo da storia del cinema, ma con la sua semplicità, scioltezza ed immediatezza, riesce a regalare un'ora e mezza di gradevole e sano intrattenimento: roba da fare impallidire la stragrande maggioranza delle commedie romantiche di oggi. Uscito negli States nel settembre del 1981, incassò all'epoca sui 15 milioni di dollari. Girato a Chicago, al Glacier National Park in Montana, in Colorado, a Washington (al Crystal Mountain e al Cedar Falls) ed in Michigan. L'ironico titolo originale "Continental Divide" si riferisce, geograficamente, alla divisione che parte dal Canada e, lungo la cresta delle Montagne Rocciose, attraversa gli Stati Uniti e giunge fino al Messico e ai paesi dell'America Centrale, separando il drenaggio principale del continente in quello che fluisce verso l'est (alla baia di Hudson nel Canada o al fiume Mississipi) e quello che fluisce verso l'ovest nell'Oceano Pacifico.
Voto: 7

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