Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Secondo, soffertissimo capolavoro di Buñuel: la collaborazione con l'amico Salvador Dalì (con cui qui divide l'elaborazione dello script) riparte dall'ultima inquadratura di Un chien andalou per lanciarsi nuovamente, in nome dell'estetica surrealista, contro ogni forma di ipocrisia borghese. Provocatorio, blasfemo, visionario e disturbante, ammantato da uno humour macabro e liberatorio di prorompente vitalità che bersaglia indifferentemente Chiesa e Stato con i dardi fiammeggianti della satira e salutari sconfinamenti nei territori dell'assurdo, travolge e ricompone il continuum spazio-temporale della narrazione in un frenetico delirio visivo, tra documentari sugli scorpioni, scheletri di vescovi, erotismo incandescente (celeberrima la sequenza in cui Lya Lys succhia il dito del piede di una statua), mucche in camera da letto, giraffe gettate da una finestra, un finale leggendario ispirato alle 120 giornate di Sodoma del Marchese De Sade. Per ottenere il visto della censura ed uscire nelle sale, i produttori spacciarono il film come il parto della mente deviata di uno squilibrato: uscì a Parigi ad ottobre del 1930 per poi, dopo pochi mesi, venire ritirato in seguito ai boicottaggi dei movimenti reazionari di destra (lanci di inchiostro contro lo schermo, i dipinti di Dalì e degli altri pittori surrealisti distrutti davanti all'ingresso del cinema). Verrà finalmente riproposto al pubblico (dopo una fugace apparizione all'inizio degli anni Cinquanta) soltanto nel 1970 (Germania) e nel 1979 (Stati Uniti). Un film immortale, affascinante e terribilmente moderno nel suo furore espressivo.
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