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Avengers: Infinity War

Regia di Anthony Russo, Joe Russo vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Avengers: Infinity War

di lussemburgo
9 stelle

L’universo cinematografico Marvel è costruito su delle convergenze parallele, sulle interazioni di protagonisti, introdotti singolarmente nel filone narrativo, poi guidati a una progressiva e maggiore interazione con gli altri colleghi. Gli Avengers, per definizione, sono la coalizione massima di supereroi, chiamati, a dispetto dei dissidi interni, a proteggere il pianeta dalla insidie più imponenti.

Infinity War, primo capitolo di un dittico per alcuni versi terminale che si concluderà soltanto tra un anno, vede riunirsi virtualmente tutti gli eroi noti per affrontare Thanos, semidivinità di Titano che cerca l’onnipotenza attraverso la raccolta delle gemme dell’infinito che comandano i vari aspetti della realtà. Introdotto nei finali dei precedenti Avengers come minaccia in agguato, il personaggio prende forma con le sembianze digitalizzate di Josh Brolin (in arrivo anche come Cable nella derivazione mutante di Deadpool) con una certa fedeltà grafica all’originale. Il Thanos dei fumetti voleva distruggere l’universo per omaggiare l’amata Morte, che sempre gli si nega, mentre il personaggio cinematografico viene riproporzionato nelle ambizioni poiché cerca soltanto un folle equilibrio ecologico: vuole dimezzare gli abitanti del mondo affinché la sostenibilità di ogni pianeta non sia messa a repentaglio dalla sovrappopolazione. A questo intento, ingenuamente benigno nelle intenzioni, si affianca la moralità di una scelta casuale delle vittime, senza distinzione tra eletti e popolo, tra eroi e vittime, sommersi o salvati. Come una pandemia cosmica, l’azione ripulitrice di Thanos porterà ad una semplificazione della vita e ad un suo integrale ridimensionamento.

Emerge immediatamente la valenza metanarrativa di tale dispositivo, di una scelta, accidentale nella finzione, di eliminazione progressiva dei protagonisti conosciuti dal mondo Marvel e di una completa ridefinizione di quell’universo cinematografico (allineata con l’uscita di scena di alcuni degli attori più in evidenza, ormai dediti al lavoro sotto copertura mascherata da un decennio). Inoltre, la prepotenza nel poter ridisegnare l’universo che conferisce il guanto dell’infinito si approssima alla qualità grafica della ridefinizione della visione che il computer autorizza, e non è difficile avvicinare la particolarità della CGI alla volontà manipolatoria di Thanos che, con un gesto noncurante, cancella vite e mondi, scenari e linee di racconto, trasforma proiettili in bollicine riqualificando la visione dello spettatore non secondo le sue attese bensì con le pretese demiurgiche della propria onniscienza narrativa. Thanos è l’affabulatore per eccellenza che riscrive la storia dei supereroi e dispensa sequel e reboot (eventuali) ai superstiti delle sue decisioni, che intrattiene gli avversari con l’argomentazione scarna delle proprie ragioni, che giustifica ogni suo gesto, per quanto estremo, per il bene ultimo di una riscrittura di universo migliore, non creato a propria immagine ma lasciato libero di fluire nel caos del caso con la consapevolezza di aver agito con nobili intenzioni.

Thanos è l’innesco narrativo supremo, l’elemento innovativo che permette la rinascita o la cessazione di un racconto, trasfigurato in un personaggio appesantito dal fardello di uno scopo ineluttabile a cui tutto può e deve essere sacrificato, compreso della propria missione e mai alleggerito dal sorriso, un ruolo in tragedia (il deus ex machina) accolto con l’immodestia di chi deve attuarlo senza esitazione né pietà, con la brutalità necessaria a far rinascere, dalle spoglie mortali, un intero universo. Così, nel finale provvisorio della saga, molti supereroi muoiono esfoliandosi, trasformandosi nella polvere delle storie non narrate e lasciando nell’ambascia e nello stupore comprimari e spettatori, tutti in attesa del risolutivo (ma altrettanto cupo, probabilmente) secondo capitolo. Qualcuno tra gli eroi morirà davvero e uscirà dalla luce dei proiettori cinematografaci, sebbene il guanto renda qualsiasi variante, ogni universo da definire e ogni sua versione ancora possibile e attuabile, come i vari futuri visitati in forma astrale da Doc Strange e di cui solo uno vede gli eroi vittoriosi e il titano sconfitto: quell’unico futuro che i film racconteranno ma i cui dettagli di sviluppo sono ancora nel cono d’ombra dell’immaginato.

I registi, alle redini di Capitan America sin da Winter Soldier, riescono a mantenere le diverse tonalità e i registri che sono andati definendosi nei vari filoni narrativi, dall’ironia metacinematografica e retropop dei Guardiani della Galassia (con citazioni musicali e filmiche) a quella quotidiana da teen-dramedy di Spider-man (che rivede nel film tanti altri film già visti), dalla nuova versione demenziale dell’ex-shakespeariano Thor (con Hulk/Banner a supporto comico), sino alla compostezza eroica di Steve Rogers o di Black Panther, esemplari guide spirituali e strategiche dei rispettivi popoli, passando per l’ironia supponente di Stark e di Strange, infallibili per sicumera, o per la tragica storia d’amore impossibile tra l’aspirante umano Visione e Scarlet Witch. Ogni singolo universo viene mantenuto intatto, nei toni e nei modi, sino al collasso finale, passando per la collisione di diverse monadi narrative le quali, come in ogni team-up Marvel che si rispetti, vede coesioni e contrasti in successione, mentre a tutti viene riservato spazio ed importanza. Sfruttando l’azione combinata di Thanos e dei suoi accoliti, il film costruisce una narrazione spezzata in episodi contemporanei di differente ambientazione planetaria, secondo la prassi del montaggio alternato di una space soap-opera. Anzi, è proprio il montaggio alternato, come figura retorica emblematica dell’intero MCU che narra separatamente avventure coeve, a dare forma a Infinity War, con Thanos come fulcro e nucleo, capace di riunire in un senso unico le parallele azioni facendole convergere nella propria vittoria finale, come un regista che alterna le varie vicende per compierne il senso complessivo per la magia del montaggio. In un momento, infatti, Thanos riavvolge il tempo usando una moviola virtuale (non lontana da quelle di Minority Report), o scombussola la percezione del tempo e della visione abusando di trucchi digitali come il regista con gli elementi significanti di una pellicola.

L’unione dei supereroi, però, fa qui solo lo sforzo dell’impegno collettivo e non la forza deflagrante di una vittoria comune, niente potendo contro l’onnipotenza del guanto e la volontà ferrea del suo possessore nel riscrivere tempo e realtà. Thanos ricostruisce e ridefinisce il mondo, cancellando quello precedente con uno schiocco di dita, lasciando alla pagina e allo schermo bianco l’incognita sospesa di una narrazione interrotta in progress, con un magistrale cliff-hanger che si apre ad ogni possibilità e che Thanos racconterà nel prossimo capitolo. Divinità perennemente insoddisfatta, il titano, dopo aver osservato un universo finalmente a sua immagine, forse non si compiacerà del tutto e non smetterà di rifarlo e ricomporlo per trovare una sfuggente serenità.

 

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