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A Quiet Place - Un posto tranquillo

Regia di John Krasinski vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su A Quiet Place - Un posto tranquillo

di MonsieurGustaveH
6 stelle

“A Quiet Place” appaga totalmente nel momento in cui si è disposti a non scavare troppo a fondo al termine della visione, ma lascia un po' di amaro in bocca a chi sperava in un autentico colpo di coda dell'horror mainstream.

Nonostante i 17 milioni di budget - non esattamente spiccioli - “A Quiet Place” è un b-movie in piena regola.

La pellicola approda in sala giusto in tempo per cavalcare l'onda generata dalle ultime, redditizie produzioni targate Blumhouse: basti pensare ad esempio a “Split” o a “Scappa – Get out”, in grado di sbancare il botteghino a fronte di uno sforzo produttivo di pochi milioni di dollari e, nel secondo caso, di aggiudicarsi addirittura un Oscar (follia? Probabile. Ma si è dibattuto a sufficienza sull'argomento).

 

Interessante è l'ironia con cui gli autori propongo un titolo che rispecchia fin dalle prime inquadrature uno scenario di effettiva calma piatta, calata però in un contesto che è ciò di più lontano possa esistere da quest'ultima; ne scaturisce una dicotomia concettuale tra titolo e messa in scena che risulta efficacissima.

 

 

locandina

A Quiet Place - Un posto tranquillo (2018): locandina

 

 

Altra evidente nota ossimorica è costituita dalla contrapposizione tra l'arguta manovra di mercato attorno alla quale gravita il film, ed un soggetto – almeno sulla carta – tutt'altro che commerciale (quest'ultimo è infatti firmato da Scott Beck e Bryan Woods, registi/sceneggiatori underground qui alle prese con il rimaneggiamento di una loro vecchia bozza risalente al 2013); la rifrazione di tale concetto sul prodotto finale offre agli occhi dello spettatore un film sottomesso più del previsto ai canoni tradizionali, inevitabilmente succube di qualche ridondante cliché e un po' troppe ingenuità concesse in sede di sceneggiatura (che, se evitate, avrebbero potuto regalare un vero gioiellino del genere). Ciò nonostante, alla luce di un'analisi dei lungometraggi a cui esso dovrebbe essere assimilato – essenzialmente thriller/horror di largo consumo – è presto chiaro (e giustificato) il successo riscosso sia in termini di critica, che di box office; per contro, come sovente accade in questi casi, si tende ad accentuare eccessivamente l'entusiasmo per opere che, a mente fredda, risultano poi decisamente meno eclatanti di quanto millantato.

 

 

E' l'anno 2020. La terra è stata occupata da un'aggressiva razza aliena totalmente sguarnita di vista ma dotata di un apparato uditivo ultrasensibile ai rumori: non sarà risparmiato chi si azzarderà a stimolarlo.

 

 

Millicent Simmonds, Emily Blunt

A Quiet Place - Un posto tranquillo (2018): Millicent Simmonds, Emily Blunt

 

 

Uno tra i maggiori pregi immediatamente riscontrabili nella pellicola è sicuramente la volontà di non ripercorrere la genesi dell'invasione (si parte dall'ottantanovesimo giorno successivo ad essa), in modo da potersi maggiormente focalizzare sul presente e sui rapporti interpersonali (accorgimento che tende generalmente a passare in secondo piano). Di conseguenza, una coltre di fitta e misteriosa nebbia si propaga attorno allo spettatore, che si ritrova senza grossi punti di riferimento se non quelli forniti dai protagonisti, con cui è in grado di empatizzare agevolmente.

In circostanze ove ogni suono è proibito, genitori e figli adotteranno un sistema di comunicazione basato sul linguaggio dei segni: il regista è qui innegabilmente capace - con poche “parole” - a tessere la ragnatela relazionale che intercorre tra i personaggi, completando alla perfezione un lavoro di tratteggiamento caratteriale tutt'altro che scontato.

La rappresentazione della straordinaria ordinarietà a cui il nucleo familiare si è dovuto adattare è infatti perfettamente delineata dalla scena in cui la madre aiuta con i compiti il figlio, volta a fornire un'ideale ancora di salvataggio per un'esistenza che possa andare oltre la mera sopravvivenza.

Più o meno celati sono i vari riferimenti alla cinematografia del genere, tra cui spicca “Signs” di M. Night Shyamalan, oltre all'imprescindibile “Alien” come base per la creazione di un contesto psicologicamente opprimente ed il design degli extraterrestri.

Le convincenti interpretazioni di tutto il cast, capitanato dalla coppia di fatto composta da Emily Blunt e John Krasinski (che qui è anche regista, alla terza dietro la mdp dopo due commedie) costituiscono certamente un grande punto a favore della pellicola: l'incredibile alchimia che trasuda anche da semplici sguardi rende perfettamente l'idea di un legame che non necessita di alcun tipo di mielosità per essere reso credibile. Nota di merito anche ai giovani Noah Jupe (“Wonder”, “Suburbicon”) e Millicent Simmonds, giovane attrice realmente affetta da sordomutismo.

Questi primi 40-50 minuti risultano compatti ed egregiamente diretti, esemplificativi dell'essenza del film: movimenti di macchina lenti ed i soli rumori naturali come sottofondo (intervallati da una manciata di pezzi strumentali evitabilissimi), a creare un'atmosfera in cui ogni minimo sibilo è in grado di mettere i brividi (grazie anche ad un lavoro di montaggio non indifferente). La tensione è sempre palpabile quando si è circondati da un assordante silenzio, che necessita inevitabilmente di essere spezzato: talvolta da un auricolare nell'orecchio, talvolta da un grido sordo nei pressi di una fonte di rumore più potente del grido stesso, a ricordare un mondo ed una vita di cui si è ormai persa ogni traccia.

Nella seconda parte, con l'effettivo dipanamento - e la conseguente risoluzione - di un intreccio perfettamente ordito nella prima, qualcosa inizia a vacillare. Il mood delle battute finali va infatti a cozzare con quanto visto precedentemente, a causa di una smargiassa messa in scena per uno scioglimento tanto convenzionale quanto irragionevole.

Permangano poi diversi dubbi riguardo ad una scrittura che si dimostra - almeno dal punto di vista di alcune dinamiche - piuttosto precaria: alquanto disarmante è la scena del parto, in cui la Blunt - in totale autonomia e in tempo praticamente nullo – riesce a dare alla luce un figlio, al lordo di un solo urlo e senza nemmeno spettinarsi o imbrattarsi eccessivamente...dopo essersi per giunta conficcata un chiodo in un piede. Chapeau.

L'effetto collaterale è purtroppo quello di spezzare l'incredibile tensione ed immedesimazione regnante fino a quel momento, con il rischio di spazientire un pubblico pagante onestamente disorientato.

Fin da principio rimane poi avvolto nel mistero il motivo che spinga la famiglia a circolare scalza: dando per appurato che un paio di scarpe avrebbe creato maggiori problemi (ma ne siamo proprio sicuri?), indossare per lo meno un paio di calzettoni avrebbe certamente giovato.

 

 

John Krasinski, Noah Jupe

A Quiet Place - Un posto tranquillo (2018): John Krasinski, Noah Jupe

 

 

Tale astrusità risulta ancor più disturbante se si pensa che - in quanto a “prevenzione” - la famiglia sia organizzata su ogni fronte: dal creare una sorta di incubatrice per il nascituro, in modo da evitare che i suoi pianti arrechino disagi, fino al contrassegnare le assi del pavimento su cui camminare per scongiurare pericolosi scricchiolii (ma, anche in questo frangente, fa sorridere un dato: prima di riuscire ad individuare quali fossero effettivamente le assi calpestabili, quanto rumore devono aver fatto?).

Dulcis in fundo, l'incognita funzione di fotografie e quadri instabilmente appesi alle pareti e di una lampada a gas poggiata a terra (di dubbia l'utilità dal momento che vi è ancora ogni tipo di collegamento elettrico) chiudono l'appendice del nonsense.

 

In conclusione, “A Quiet Place” appaga totalmente nel momento in cui si è disposti a non scavare troppo a fondo al termine della visione, ma lascia un po' di amaro in bocca a chi sperava in un autentico colpo di coda dell'horror mainstream; rimane il fatto che esso possa costituire un ottimo esempio della qualità media che meriterebbero tali prodotti, ad oggi ancora tristemente bassa.

 

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