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Sleepers

Regia di Barry Levinson vedi scheda film

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La recensione su Sleepers

di OGM
6 stelle

Film penalizzato non tanto dall'approccio apologetico al crimine, quanto dalla sua banalizzazione, che si spinge fino all'annullamento del concetto stesso di colpa, anche di fronte ad un omicidio a sangue freddo. La violenza sessuale su minori come giustificazione di un altro gravissimo reato è frutto di una visione sbrigativa e sconsiderata, certo indegna di diventare l'asserto portante di un'opera cinematografica. Tecnicamente, "Sleepers" nasce da un esperimento in cui il noir fa da raccordo tra la "slum story" e il "legal thriller", con movimenti di gangster in sottofondo. La voce narrante vorrebbe conferire al tutto un respiro drammatico e finanche una dignità letteraria, a cui, però, la pochezza dell'azione non dà modo di attecchire. Il risultato è una pellicola sfiorita, come, del resto, la coscienza dei suoi personaggi: un territorio desertico, da cui la deplorevole vicenda del riformatorio Wilkinson pare aver soffiato via, per sempre, il beneficio del dubbio, con effetto addirittura retroattivo. E dire che l'inizio prometteva tutt'altra evoluzione, con quella nostalgica ouverture sulla vita di quartiere, alla maniera di "C'era una volta in America". Poi, purtroppo, il film decide di piombare, come i suoi quattro protagonisti, in una sorta di cupo decorso post-traumatico, trascinando lo spettatore in un'atmosfera ovattata che ottunde i pensieri e le emozioni. La prima parte, di gran lunga migliore del seguito, è dominata dall'idea della strada che, per i ragazzi di periferia, è, al contempo, casa, famiglia, scuola e parco giochi. Essa diventa così l'unico possibile campo d'azione del destino, il terreno di combattimento in cui si decidono le svolte delle loro esistenze. Purtroppo dura poco l'illusione di trovarsi di fronte ad un film sulla perdita dell'innocenza, intesa, al momento della carcerazione, come dolorosa acquisizione del senso di responsabilità e della consapevolezza delle conseguenze del proprio agire, e solo dopo l'esperienza degli abusi, come un gioco infantile che, di colpo, si è tramutato in una maledetta sfida tra adulti. I mesi di reclusione dei quattro ragazzi sembrano volerci parlare di una dura scorza che si è formata sui loro teneri corpicini, rendendoli capaci di nascondere la verità, a sé e agli altri, in un modo che non ha più nulla a che vedere con le bugie inventate per evitare una punizione. Per un attimo, si direbbe che la necessità di lottare, non più per la conquista di punti in seno alla compagnia dei coetanei, ma per la sopravvivenza, l'integrità e la libertà, abbiano portato Michael, John, Tommy e Shakes a maturare un microsistema di ideali e principi da difendere contro la realtà della natura umana. Poi, però, l'improvviso salto temporale nella loro età adulta ci porge un quadro desolante, e il film infila il collo nel cappio della "vendetta ad ogni costo". Questo diktat interiore, imperioso ed assoluto, si impadronisce completamente della storia, annientando ogni traccia di remora morale, e travolgendo le leggi civili e religiose, in nome di una connivenza mascherata da solidarietà, di una ritorsione camuffata da giustizia e dell'impunità perseguita come salvezza. Il punto di vista soggettivo, la personale rabbia delle vittime viene quindi eletta a categoria etica, e diviene termine di riferimento per una intera comunità. Tutta l'attenzione si sposta allora sugli sviluppi di un complotto giudiziario insulso e inutilmente enfatizzato, buono solo ad accompagnare il film verso il naufragio finale. Tre stelle per premiare l'interpretazione e la bontà delle intenzioni, o, per meglio dire, l'ottimo film che quest'opera di Levinson avrebbe potuto diventare.

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