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The Fan. Il mito

Regia di Tony Scott vedi scheda film

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La recensione su The Fan. Il mito

di Eric Draven
5 stelle

Robert De Niro

The Fan. Il mito (1996): Robert De Niro

 

Ebbene, oggi voglio parlarvi di The Fan - Il mito, pellicola della durata di 1h e 56 min per la regia del compianto Tony Scott. Chiariamoci subito. Tony Scott, suicidatosi il 19 agosto 2012 dopo aver invano battagliato contro il suo tumore cerebrale, non era affatto un grande regista. E i postmodernisti dell’ultima ora che, addirittura, s’azzardano ad affermare che il suo Cinema, sincopato, rutilante e patinato, videoclippato e dozzinalmente superficiale, fosse perfino meglio di quello del fratello Ridley, dovrebbero subito discolparsi da questa gravissima idiozia. E chiedere in ginocchio perdono.

Certo, Tony Scott di talento ne aveva da vendere. Però, da ottimo mestierante troppo attratto e allettato dai soldi, velocemente prestava le sue comunque indubbie abilità tecniche per film di facile consumo. I cosiddetti “blockbuster” sbanca-botteghino.

The Fan - Il mito è un film assai mediocre, poco difendibile sotto moltissimi punti di vista ma che rappresenta, nel suo percorso filmografico, un’atipica, sebbene non riuscita, incursione in un tipo di Cinema lontano dai roboanti, vomitevoli edonismi di Top Gun e dalle pur simpatiche goliardate de L’ultimo Boy Scout.

Il film, su sceneggiatura di Phoef Sutton, adatta il romanzo L’idolo di Peter Abrahams, ed è la storia di una pericolosa, letale ossessione sportiva.

Quella di Gil Renard (Robert De Niro), un modesto rappresentante di coltelli, fanatico del baseball e gran tifoso dei San Francisco Giants. Gil è separato dalla moglie e può vedere suo figlio piccolo e stargli accanto soltanto nei pochi momenti che gli sono permessi. È un uomo solo che, di lì a poco, viene licenziato. Deluso e sfiancato dalle continue, imperterrite delusioni esistenziali, emarginato da tutti, trova la sua valvola di sfogo, la catarsi dalle sue quotidiane, schiaccianti frustrazioni, elevando a idolo personalissimo il nuovo, miliardario acquisto della sua squadra del cuore, il campione Bobby Rayburn (Wesley Snipes). Ma questo campione, straviziato e adagiatosi sugli allori del suo carisma, non mantiene affatto le promesse. E finisce perfino per essere rimpiazzato dal suo collega-rivale Juan Primo (Benicio Del Toro).

Distrutto dall’ennesima, inaspettata batosta, avendo riposto in Rayburn ogni suo sogno piccolo borghese sbriciolatosi come neve al sole, Gil Renard comincia a impazzire e, accanitamente, a briglia sciolta, in maniera furibonda inizia a stalkerizzare Rayburn. In un’escalation irrefrenabile di atteggiamenti persecutori nei suoi confronti, introducendosi sotto mentite spoglie in casa sua e arrivando perfino a rapirgli il figlio.

Sino al tragico finale autodistruttivo e tombale.

 

Dopo l’annus mirabilis del ’95 nel quale De Niro uscì con due sommi, impareggiabili capolavori, Casinò di Martin Scorsese e Heat - La sfida di Michael Mann, che lo consacrarono definitivamente come the greatest actor alive, decretarono una volta in più la sua leggendarietà e per cui inesorabilmente assurse a indiscusso titano della Settima Arte, il mitico Bob era trepidamente atteso al varco dai suoi irriducibili aficionado. E nel 1996, appunto, si presentò al suo pubblico con Sleepers di Barry Levinson in ruolo minore ma centralissimo e con The Fan - Il mito, in veste di protagonista assoluto.

 

The Fan aveva sulla carta tantissimi punti interessanti da sviluppare. E poteva diventare, nelle mani di un regista più calibrato e sofisticato, una grandiosa analisi della fenomenica, maniacale idolatria dell’uomo medio nei riguardi di un falso idolo di plastica creato dal business e dai mass media, un ritratto al vetriolo di un little man in cerca dei suoi warholiani 15 minuti di assurda celebrità. E invece il materiale di partenza, dall’ottimo potenziale introspettivo-psicologico, dopo i primi venti trenta minuti coinvolgenti e ben ritmati, si è trasformato nel solito film à la Tony Scott. Che ha squagliato ogni approfondimento a favore come di consueto della più scontata spettacolarità frenetica, ridondante, eccessiva, artificiosissima e un po’ imbarazzante.

Un film che però si è avvalso della musica di Hans Zimmer e di una splendida fotografia di Dariusz Wolski (Il corvoDark CitySweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street), straordinario cinematographer che adesso, dopo la morte di Tony Scott, pare che piaccia molto anche a suo fratello Ridley.

Un film che soprattutto regge, così come disse il critico Morando Morandini, definendo la sua interpretazione superba, proprio su un De Niro scatenato. Basti vedere la sua contratta e poi esplosiva gestualità, la sua mimica controllata e l’incendiarsi vulcanico dei suoi occhi nella scena in sauna con Benicio Del Toro.

Chi sostiene, a torto, che un attore non possa migliorare un film mal diretto, dovrebbe guardare e riguardare The Fan. Per rendersi conto di come un film ordinariamente in linea con l’estetica manierata di Scott, possa diventare appassionante grazie a un De Niro ipnotico e strepitoso.

 

 

 

 

di Stefano Falotico

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