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Bambola

Regia di Bigas Luna vedi scheda film

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La recensione su Bambola

di Lina
1 stelle

Eccolo il kitsch del kitsch, ovvero la punta massima del cinema trash.

 

È decisamente uno dei più brutti, dilettanteschi e inutili drammoni erotici che io abbia mai visto.

La trama è contorta e sconclusionata in molti punti e la messa in scena non regge.

 

Gli spunti e contenuti sono di una banalità estrema, sovrabbondando di stereotipi e luoghi comuni.

 

La sceneggiatura sembra scritta da un adolescente in calore alle prese con i primi impulsi sessuali; i dialoghi sono uno più insulso dell'altro, degni di un reality show; i personaggi appaiono così scontati e sopra le righe da risultare ridicoli, quasi delle macchiette, e le scene di sesso sono forse l'unica ragione che, all'epoca dell'uscita del film, spinse la gente ad andarlo a vedere al cinema – ma sono insulse anch'esse.

 

Il "culone" della Marini insieme a quei suoi insistenti, affettati e fastidiosi gemiti e gridolini che emette nel film ogni volta che il macho la violenta, con suo grande e inconscio piacere, dubito possano rivelarsi sensuali e nemmeno l'anguilla riesce a migliorare la situazione, anzi, si rivela il top del trash.

 

Tutto troppo grottesco e interpretato in maniera imbarazzante attraverso delle trovate abusatissime.

Sembra più una farsa che un dramma.

 

Bambola è la classica donna che fa la preziosa sentendosi perbene, ma che un bel giorno la dà al primo rozzo e avanzo di galera di turno, che le rivolge delle attenzioni. E quando si concede, si autoconvince di averlo fatto solo per salvare Settimio, un "amico" finito in carcere per un omicidio involontario, che in realtà aveva conosciuto per poco più di cinque minuti e di cui non sapeva praticamente niente. Bambola, però, invece che affezionarsi a lui, che è protettivo e tranquillo, prova una sorta di attrazione perversa e fatale per l'avanzo di galera e tipico macho della situazione (che gli sceneggiatori, guarda caso, si divertono a battezzare con il nome di "Furio").

È un uomo aggressivo, prepotente, scorbutico e maschilista, che prima lei chiama animale e un momento dopo, invece, ammette di amare (pur conoscendolo appena) e da cui cerca sempre invano dolcezza e rispetto.

 

La loro love-story farcita di costante odio e amore e di terrore e passione è quanto di più insulso e ricalcato si sia mai visto nella storia del cinema. Per non parlare degli stereotipi inseriti sulla tematica dell'omosessualità, che Bigas Luna non rinuncia a introdurre in un contesto già di per sé sovraccarico di idee trite e ritrite... 

Difatti, il film vuole dare a intendere che un uomo che viene violentato sia condannato a non poter più amare le donne.

 

Settimio, per esempio, etero convinto e attratto da Bambola, dopo un'orribile violenza subita in carcere (su ordine guarda caso di Furio che vuole vederlo fuori dai giochi) sembra scopra magicamente di preferire gli uomini e, a fargli "vedere la luce", è nientepopodimeno che Flavio, l'affezionato fratello di Bambola, diventato gay per sua stessa ammissione, solo dopo essere stato a sua volta violentato da dei ragazzi in età adolescenziale. E certo, come se sia normale, ora, gradire la violenza fisica!

 

Quando Flavio chiede a Settimio se essere stato violentato gli sia piaciuto, si arriva a desiderare di dar istantaneamente fuoco alla pellicola ancor prima di vedere come finisca la storia.

 

Non ha un bel messaggio e neppure un buon modo di illustrare il mondo delle prime incertezze sulle preferenze sessuali.

 

Alla fine, Settimio instaura perfino un solido, intimo e speciale rapporto con il fratello di Bambola. Roba da non credere.

 

Non c'è veramente nulla da salvare in questo subdolo, pretenzioso, grossolano e squallido dramma sull'amore irrazionale e sull'attrazione fatale del basso ceto.

 

Forse, il regista voleva tentare la strada dell'introspezione psicologica; sperava di far riflettere sui desideri inconsci e più nascosti e profondi dell'essere umano alla ricerca della sua reale natura, ma fallisce in pieno, cadendo in basso, soprattutto a livello stilistico ed emozionale.

In verità, il dilettantismo che ha dimostrato nel dirigere un'opera cinematografica di così grande pochezza e di pacchiana ispirazione sembrerebbe quasi intenzionale.

 

Spicca (in negativo) la leziosa prova di un'insopportabile Valeria Marini, che se si fosse tenuta addosso i vestiti, sarebbe stato meglio per tutti. È inguardabile da ogni punto di vista.

 

Sprecata, invece, Anita Ekberg in una boiata come questa.

 

Bravino Stefano Dionisi, però il suo personaggio, sebbene sia l'unico con un po' di cervello nella storia, mentre tenta di aiutare e far ragionare la sorella, è così stereotipato da risultare irritante.

 

Quanto a Jorge Perugorría sembra il villain di un cartone animato. Eccessivo in tutto.

 

Sulla colonna sonora che lascia partire la canzone di Patty Pravo mentre iniziano a scorrere i titoli di coda, c'è da stendere un velo pietoso.

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