Regia di Joel Edgerton vedi scheda film
Figlio di un predicatore battista ossessionato dalla religione (Crowe), Jared (Hedges) viene costretto dal padre a un programma di recupero per omosessuali, dove ti insegnano la stretta di mano e a parlare tenendo le gambe aperte e a non accavallarle mai quando stai seduto (sic). Tra mille soprusi (sui quali la regia preferisce quasi sempre l’ellissi) e l’insopprimibilità degli istinti, Jared arriverà a un conflitto frontale tanto con l’improvvisato “terapeuta” quanto col genitore.
Tratto dal diario omonimo di Garrard Conley, pubblicato per la prima volta nel 2016, il film è un ritratto delle aberrazioni dell’America rurale, segnate da un bigottismo diffuso che trascina con sé ogni possibile forma di decenza. Le didascalie sui titoli di coda ci avvertono che, al momento della chiusura del film, negli Stati Uniti ancora 36 stati permettono la “terapia della conversione”, praticata su minori e che ha interessato più di 700.000 americani LGBTQ. Encomio dunque per l’impegno civile del film (e per il sottotesto sui danni incalcolabili che il fanatismo religioso è capace di produrre), che però viaggia quasi interamente sullo stesso registro, senza un’emozione né un sussulto, tenendosi alla larga da qualsiasi tentazione ricattatoria nei confronti dello spettatore. Ma così è anche troppo.
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