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Il regno

Regia di Rodrigo Sorogoyen vedi scheda film

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La recensione su Il regno

di supadany
5 stelle

Torino Film Festival 36 - After hours.
Se negli ultimi anni la popolarità della classe politica è in caduta libera, (almeno) un motivo ci sarà.
Indubbiamente, le crisi economiche che hanno minato le fondamenta dell'Europa, hanno colpito duramente il quadro generale, ma il disprezzo dei cittadini verso gran parte delle istituzioni nasce principalmente dai tanti scandali che hanno coinvolto figure di spicco, quelle che per tanti anni sono state al potere, maneggiando quantità esorbitanti di denaro pubblico, pensando bene di farne sparire una fetta consistente per i propri intrallazzi.
El reino si addentra all'interno del mondo politico per descrivere uomini di potere corrotti fin nelle viscere, disposti a scannarsi reciprocamente pur di tutelarsi. Quando l'acqua arriva alla gola, gli uomini di machiavellica memoria si aggrappano a qualsiasi appiglio pur di non affondare.
La vita eccezionalmente sfarzosa di Manuel Gomez Vidal (Antonio de la Torre), una figura politica di primo piano della società spagnola, è messa a soqquadro quando cominciano a emergere i malaffari di cui è protagonista da numerosi anni.
Ritrovatosi tra l'incudine della giustizia e il martello dei suoi colleghi di partito, farà di tutto pur di salvarsi o almeno limitare i danni. Per riuscirci, dovrà prendere decisioni tanto rischiose quanto fondamentali, potendo fare affidamento solo sulle sue capacità.

 

Antonio de la Torre

The Realm (2018): Antonio de la Torre


Non tutte le ciambelle vengono con il buco. Con El reino, la premiata ditta firmata dal regista Rodrigo Sorogoyen e il carismatico Antonio de la Torre, autentica star tuttofare del cinema spagnolo, si ritrova dopo la brillante esperienza di Che Dio ci perdoni, senza rinverdirne i fasti.
Questa volta plana sugli scandali perpetrati da quella (larga) parte della politica ostracizzata per come incorpora i peggiori vizi dell'essere umano, mappando un viatico da scaltro thriller politico.
L'apparato sciorina una transizione dal ritmo vertiginoso, con il montaggio che dialoga strettamente con le musiche, provenienti dal campo della techno, senza lasciar nemmeno intravedere un minimo segno di tentennamento.
Indubbiamente, Rodrigo Sorogoyen dimostra di essere categorico nell'impostazione e abbonda anche in idee da spendere, ma non ha quel pizzico di senso della misura che incanali lo svolgimento sulla carreggiata della ragione.
Dunque, sventaglia un vasto ricettario di quei pessimi comportamenti di cui la classe dirigente si è macchiata, con la corruzione come prassi consolidata, rapporti che di fronte alla minaccia mutano radicalmente trasformando gli uomini in iene e un potere che divora l'etica.
Così, l'intreccio dettaglia una forsennata corsa contro il tempo, con la terra che frana sotto i piedi, una nave che affonda fragorosamente senza avere le scialuppa per salvare tutti.
Tanta concitazione, che Rodrigo Sorogoyen orchestra come un giocoliere su un filo di lana, creando un marasma febbrile che contempla alcune sequenze rimarchevoli (ad esempio, un ansiogeno inseguimento automobilistico), ma anche un generale senso di caos e artificiosità, esplicitato soprattutto nell'ultima fase, quando deborda in continui rilanci, come se fosse incapace di darci un taglio.
Lecito e credibile per ciò che racconta, meccanico nelle traiettorie ed esasperato nel suo essere adrenalinico.

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