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Una notte di 12 anni

Regia di Álvaro Brechner vedi scheda film

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La recensione su Una notte di 12 anni

di supadany
7 stelle

Venezia 75 – Orizzonti.

Troppe volte, le piccole gioie di vivere non vengono apprezzate quanto meriterebbero. Il discorso è completamente diverso quando si subiscono soprusi e privazioni per anni, con l’impossibilità di osservare un cielo stellato, gustare un pranzo anche solo decente o parlare con una persona qualunque. Storie che la maggioranza dei popoli hanno subito nel corso dei secoli e con cui taluni ancora hanno a che fare. Tra le tante, Alvaro Brechner ne descrive una proveniente dal Sud America, supportata dalle testimonianze di rito e dalla volontà di andare oltre la mera documentazione dei fatti.

Uruguay, 1973. Con l’avvento della dittatura militare, i guerriglieri Tupamaros vengono sterminati e i sopravvissuti incarcerati. Tra questi figurano José Mujica (Antonio de la Torre), Eleuterio Fernandez Huidobro (Alfonso Tort) e il giornalista Mauricio Rosencof (Chino Darin), chiamati ad affrontare una lunga prigionia, durante la quale subiranno sopraffazioni di ogni genere e atroci esperimenti, perpetrati nel tentativo di indebolire la loro strenua resistenza.

Dinnanzi a loro, avranno ancora tempo per contribuire a scrivere una pagina di Storia dell’Uruguay.

 

Chino Darín

12 anni (2018): Chino Darín

 

La noche de 12 anos è una produzione - l’ennesima - che testimonia lo spirito arrembante della cinematografia spagnola, che ama scavallare i canali più logori di dramma e commedia per affrontare altri generi, possibilmente ricercando una quadratura tra componenti diverse, qualora non proprio faticose da amalgamare.

In questo caso travalica anche i confini nazionali per spostarsi in Sud America e lasciare una traccia su una triste e lunga pagina di Storia dell’Uruguay, simile a quelle vissute in altri Stati limitrofi.

Ovviamente, la ragion d’essere è riscontrabile nell’impegno civile che la anima, utilizzando le testimonianze dirette dei tre sopravvissuti a dodici anni di crudele segregazione, trascorsa in ben quarantacinque tra prigioni e luoghi differenti utilizzati con la medesima finalità d’uso.

Intorno a questa architrave, Alvaro Brechner si adopera per descrivere una resistenza protratta, silenziosa e sottomessa, un’arma riportata facendo ampio ricorso alla camera a mano, utile per accentuare l’istintività ed evidenziare un inferno scaraventato nel mondo reale.

In aggiunta, ricorre a escursioni più leggere, che prendono di mira le procedure rigidissime e la burocrazia dissennata, innesti paradossali talvolta frutto di una macchinazione finzionale, in altri casi risultato delle testimonianze raccolte, come nel caso della liberazione di uno dei protagonisti, avvenuta mentre era intento a lavare le stoviglie, con la paura di essere liberato a sopravanzare la gioia. 

Non mancano nemmeno inevitabili flashback, mentre ovunque sono rintracciabili rabbia e rassegnazione, il silenzio e una solitudine infernale, la disperazione e il conseguente bisogno di attaccarsi a qualunque appiglio per non impazzire e mollare la debole presa sulla vita.

Il tutto inserito in un itinerario dall’alto numero di giri e della durata di circa due ore, con una sintassi piana, nel senso di popolare, e un elevato indice di prevedibilità, ma anche un notevole coinvolgimento, che tocca il suo apice in una doppia rivisitazione della hit The sound of silence, capace di graffiare anche i cuori più arroccati, senza scordare la conferma della duttilità di Antonio de la Torre, sempre più in ascesa.

Abissale per quanto rappresenta e trascinante per come lo fa, una centrifuga redatta con lungimiranza.

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