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Io c'è

Regia di Alessandro Aronadio vedi scheda film

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La recensione su Io c'è

di barabbovich
7 stelle

Dal "porco Dio" di Anni ruggenti, un film del 1962 diretto da Luigi Zampa, quando - per la prima volta in Italia - si sentì qualcuno smoccolare sul grande schermo, a Io c'è, titolo geniale che assembla le scritte sulle strade che indicano il reperimento della droga con la massima di Marx sulla religione come oppio dei popoli, la religione stessa è stata raramente messa in discussione nel cattolicissimo Belpaese. C'è voluto il coraggio di Alessandro Aronadio - qui alla seconda regia dopo l'originale Orecchie e dopo la rovinosa caduta in sede di sceneggiatura de I peggiori - per mettere alla berlina gli istituti religiosi che, non paghi di non versare neppure un euro nelle casse dello Stato italiano, sbafano anche sull'accoglienza.
Sono proprio essi a fare concorrenza a Massimo (Leo), che abita nel pieno centro di Roma. Il suo bed & breafast, una struttura faraonica ereditata dal padre, frutterebbe di più se il fisco non gli togliesse quasi tutto. Con la sorella (Buy) e con l'aiuto di un intellettuale perdigiorno (Battiston) decide così di inventarsi una religione ex novo, lo ionismo, per il quale ogni individuo è il dio di sé stesso. Per questa via, lo stabile adibito a B&B viene trasformato in luogo di culto e addio tasse. Il problema è che la gente comincia a crederci davvero e per Massimo la nuova, imprevista responsabilità, diventa insostenibile.
Tra una suora apostrofata come "stronza" e una frecciata al bilderberghiano Mario Monti, vero rottamatore dell'intera nazione, Io c'è dà qualche stilettata alle religioni (ma siamo comunque ben distanti dal graffiante Religiolus), senza particolari distinzioni, salvo poi rifugiarsi in un paio di frasi cerchiobottiste (al protagonista estenuato dal nuovo corso della sua vita, l'amico prete risponde che, nonostante le tante critiche, "poi i problemi della gente ce li smazziamo noi") che relegano tutte le religioni a una narrazione rassicurante, senza calcolarne i devastanti effetti collaterali. Per il resto, Edoardo Leo - perennemente imbrigliato nello stesso personaggio - non sbaglia una battuta, qualche deviazione grottesca e persino da cinema western non guastano e il registro da commedia esistenzialista dissacrante è un amalgama ben riuscito.

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