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E la nave va

Regia di Federico Fellini vedi scheda film

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La recensione su E la nave va

di yume
9 stelle

E la nave va si direbbe il film più meliesiano di Fellini, una navigazione fantastica fra Storia e fantasia al suono di famosi pezzi d’opera, brani da grandi musicisti di ‘800 e ‘900, canti e balli etnici del gruppo di Serbi raccolti in mare perché in fuga dalla guerra con l’Austria.

Faccio un film alla stessa maniera in cui vivo un sogno, che è affascinante finché rimane misterioso e allusivo e rischia di diventare insipido quando viene spiegato. Come adesso”.

Nel 1983 Fellini girava E la nave va, un gioco, una predizione, uno sguardo al passato e uno al futuro, dal muto alla voce, dal bianco e nero al colore.

Zanzotto a scrivere i testi delle opere liriche, Tonino Guerra alla sceneggiatura, Rotunno alla fotografia e un cast fantasmagorico, musica, cori, assolo, nulla manca e il mondo della critica impazzì, basta sfogliare le voci di quell’anno nel Gotha dei recensori:

G.P.Brunetta coniò un mitico “versione tascabile dell'arca di Noè.”, per P.Valmarana: “… personaggi e situazioni, spesso irresistibili, sempre affascinanti nella genialità dell'invenzione e nello splendore della figurazione..”, F. Bolzoni era convinto a metà, ma poi: “… A mo' di consolazione ci ha mostrato il protagonista del film - il giornalista che, con le sue confidenze, ci ha avvicinato fin lì tutte quelle persone scomparse - che cerca scampo su una barca assieme al già ricordato e piuttosto sbalordito rinoceronte…".

A.Pesce è entusiasta: “ … ad ogni slargo delle immagini sul versante musicale, il film acquista di colpo un suo malioso mordente…” e pure S.Reggiani: “… Bellissimo, un'illusione non poteva essere meglio parodiata … ”. Grazzini si unisce al coro degli elogi: “ Lo stile al quale Fellini ricorre stavolta non è l'esuberante grottesco che l'ha reso famoso. E' lo stile dell'iperrealtà, il quale rifiuta la deformazione caricaturale e accentua i dati espressivi…” .

Invece a V.Caprara non è piaciuto proprio: “In un contesto di generico catastrofismo, che si concede qualche pausa sarcastica e qualche simbolo di puro effetto fantasy, Fellini dispiega, naturalmente, la propria sapienza tecnico-formale; ma confessiamo di non apprezzare né le smorfie illusionistiche né gli apologhi iettatori né il gemito della macchina da presa furbesca. Non ci piace, insomma, la Pretestuosità Poetica di cui il grande riminese fa uso e abuso per proporre idee striminzite e angosce convenzionali." , ma è quasi unico.

Dove va, dunque, questa nave?

E’ buona norma andare al cinema digiuni, non di cibo, giammai, di letture preparatorie.

Chi vuol vedere questo film si fermi e guardi, se ne parlerà dopo. Il cinema è un flusso sonoro di immagini, avvolge e trascina in un viaggio fantastico, è il sogno di altri che diventa nostro e come i sogni lascia tracce, le stesse di una farfalla che vola via dalle dita.

Il film è suggestione ipnotica, ritualistica, quasi religiosa- diceva Fellini.

Se fa un film pieno di musica come questo, chiama uno dei poeti più, grandi del ‘900, Zanzotto, a collaborare, e ci spalma dentro un pezzo di storia del ‘900 niente male, l’attentato di Sarajevo all’arciduca Francesco Ferdinando, non fa che creare un sogno.

Nei sogni c’è il vero e c’è quello che del vero rimane in noi per le vie più inconoscibili, stratificate giù giù, negli angoli remoti dell’Es, da dove torna a galla con un bel vestito di scena e rivive facendo cinema.

La nave e la storia:

1914, sul molo di un porto, pare sia Napoli, un piroscafo, il Gloria N., di quelli che all’ inizio del secolo scorso partivano con saluti e baci da terra e dal ponte, è pronto a partire..

Partenze di emigranti, partenze di guerra. Stavolta si parte per un funerale, quello di un famoso soprano, Edmea Tetua, che nelle ultime volontà ha indicato l’isoletta di Erimo nell’Egeo come meta per spargere le sue ceneri in mare.

Dopo aver compiuto la sua missione la nave, bombardata dagli austro-ungarici, cola a picco con gran parte dei suoi passeggeri. Su una scialuppa si salvano lo speaker e il rinoceronte. A consolazione del pubblico una voce esterna informa che molti altri si sono salvati.

Questa è la piccola storia che s’incunea nella Grande Storia come l’astronave di Meliés s’incunea nell’occhio della luna.

E infatti E la nave va si direbbe il film più meliesiano di Fellini, una navigazione fantastica fra Storia e fantasia al suono di famosi pezzi d’opera, brani da grandi musicisti di ‘800 e ‘900, canti e balli etnici del gruppo di Serbi raccolti in mare perché in fuga dalla guerra con l’Austria.

Trenta anni prima dei 368 morti in mare il 3 ottobre 2013, il comandante del piroscafo rispondeva così ai ricchi passeggeri indignati per la presenza di naufraghi sporchi, laceri, rom, fastidiosi solo a guardarli:

Il comandante è tenuto a raccogliere i naufraghi per un principio fondamentale del codice navale”.

Ma alla fine la situazione precipita, la nave austriaca minacciosa, schierata con i cannoni a poca distanza, lascia passare il Gloria N. per la cerimonia funebre a Erimo, poi però pretende i rifugiati.

Seguiti dai cori di tutti i pezzi d’opera inneggianti alla libertà, a partire da Va’ pensiero, i profughi s’imbarcano sulle scialuppe ed è a quel punto che il lancio sconsiderato di un petardo da parte di un ragazzo serbo scatena la batteria di cannoni.

La fortezza austro- ungarica guarda minacciosa, non sembra una nave ma un castello, uno Spielberg, ha un cappello di fumo nero e i cannoni escono fluidi dalle bocche della chiglia.

“Ma come? -si chiede Orlando, lo speaker -può darsi che il gesto di un ragazzo, che tra l’altro sta vivendo una bella storia d’amore (v. scena precedente) possa scatenare una reazione così?

Ebbene sì, sta scoppiando la Prima Guerra Mondiale.

Siamo sul mare, il mare finto di Fellini che sciacqua e sciaborda più vero del vero nel famoso Studio5 di Cinecittà, non siamo nell’angolo di quel ponte sulla Miljacka, a Sarajevo, dovel’anarchico Gavrilo Principuccise l’ erede al trono dell'impero austro-ungarico e sua moglie, ma nei sogni capita, cambiano i posti, sfumano le storie, per fortuna ci svegliamo e non c’è più nulla.

Ma se nei sogni non c’è scampo se non nella fuga, nella realtà tutto è successo, succede o succederà.

Orlando salta sulla scialuppa col vecchio rinoceronte ed è li, a un attimo dalla fine del film, che ci rivela un segreto: “Lo sapevate che il rinoceronte dà un ottimo latte?

 

Su questa storia del latte di rinoceronte si è scatenato il putiferio, schiere di giornalisti, fiumi di inchieste, Fellini si sarà divertito da matti.

“Non mi pare che il rinoceronte che naviga sulla Gloria N. abbia nulla a che fare con il mostro che appare sulla spiaggia nel finale de La dolce vita. Un simbolo è tale in quanto non si può spiegare, in quanto va oltre il concetto, oltre la ragione, in quanto contiene degli elementi irrazionali o mitici. Perché mi si vuole costringere a spiegarlo? In ogni caso, il rinoceronte che è sulla nave, se ha un significato, questo significato va inteso in senso totalmente opposto. Il mostro di La dolce vita era uno specchio della degenerazione del protagonista, mentre il rinoceronte di E la nave va potrebbe suggerire un’interpretazione, ad esempio, di questo tipo: l’unico tentativo per evitare il disastro, per non precipitare nella catastrofe, potrebbe essere quello diretto a recuperare la parte inconscia, profonda, salutare di noi stessi. È in questo senso che si potrebbe spiegare la frase farsi nutrire dal latte del rinoceronte. Ma si tratta sempre di spiegazioni un po’ goffe, com’è goffo l’accostamento del rinoceronte al mostro di La dolce vita. Una fantasia, se autentica, contiene tutto, e non ha bisogno di spiegazioni

(da Fellini. Raccontando di me, conversazioni con Costanzo Costantini, Editori Riuniti, Roma, 1996, pp. 182-185)

Dunque, il rinoceronte.

Appare a metà film, lo tirano sul ponte dalla stiva, è malato, forse d’amore, poi si rianima e si salverà, come sappiamo.

Il resto dei passeggeri, oltre al gruppo serbo così pittoresco, vitale, rumoroso, è di vecchie o meno vecchie glorie del mondo dell’Opera, tenori, soprani, direttori, impresari, nobili, un granduca prussiano, Harzock, con la sorella cieca (la deliziosa e indimenticabile Pina Bausch), la veggente principessa Lherimia e ufficiali e marinai di bordo. Della grande cantante scomparsa, Edmea, si parla, si tessono elogi, si cerca di evocarla con una seduta spiritica.

Il giornalista Orlando (Freddie Jones) si fa strada fra questi VIP serviti da camerieri solerti nei saloni traboccanti di stucchi dorati.

A volte fa fatica, altre volte deve restare in un angolo, si affanna non poco a raccontare agli spettatori aneddoti, indiscrezioni e confidenze, intervista qualcuno, sarebbe l’incarnazione perfetta di quegli inviati che oggi stazionano a schiena curva in ogni angolo, pronti allo scatto col loro microfono, se non fosse l’ironico e stralunato sostituto dell’alter ego Mastroianni di un Fellini che guarda il mondo sempre più disincantato.

Uomini e donne del bel canto sono tutti molto consci del loro ruolo, tutti esangui e dolenti (i “fortunati dolenti” di canettiana memoria), pronti a gareggiare con le loro ugole d’oro appena se ne presenti l’occasione.

La scena del canto nella sala fuochi, tutti schierati in alto sulla balaustra davanti ai fuochisti in adorazione, è straordinaria.

Si guarda spesso in macchina, il discorso meta-cinematografico è servito, tra fantasia e realtà è il cinema a fare da ponte, Fellini parte dall’inizio del secolo breve, quando tutto doveva ancora succedere, ricapitolando anche una storia del cinema che sembra giunto, come la storia di un’Italia nata dalla Resistenza, al suo malinconico epilogo.

Gli anni Settanta hanno insanguinato le strade, gli Ottanta hanno dato lavoro a giudici e tribunali, l’era dell’edonismo berlusconiano è alle porte.

Cosa cantano ancora quei mostri di bravura credendo di essere sul palcoscenico della Scala?

Va’ pensiero...

 

 

 

 

www.paoladigiuseppe.it

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