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Sorrisi di una notte d'estate

Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film

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La recensione su Sorrisi di una notte d'estate

di Aquilant
8 stelle

Per sua stessa affermazione, nel lontano 1951 Bergman fu risollevato da una serie di ristrettezze economiche grazie ad una serie di nove spot pubblicitari non privi di un certo senso dell’umorismo realizzati per “Bris”, una marca di sapone “orrendo” a suo parere. E nelle proprie memorie l’autore ammette candidamente di avere realizzato le varie commedie per lo stesso motivo, vale a dire per procacciarsi denaro: “Non mi imbarazza affatto dirlo. Nel mondo del cinema la maggior parte delle produzioni è stata realizzata per questo motivo.”
E per coloro che non hanno avuto occasione di visionare l’ultimo episodio di “Donne in attesa” unitamente ai successivi “Una lezione d’amore” e “Sogni di donna”, opere che hanno cioè creato i presupposti per tali “Sorrisi”, si profila un impatto traumatico conseguente alla visione dell’opera o addirittura una reazione di rigetto caratterizzata da una mancata identificazione con le consuete tematiche bergmaniane cui si è maggiormente assuefatti.
Questo perché fin dalle battute iniziali si resta pressoché avviluppati in una di quelle trame ophülsiane tanto care ai cultori della commedia classica, anche se le analogie con “la ronde” non appaiono poi così marcate come sottolineato da una certa critica d’epoca. Ma a partire dalle sequenze al calor bianco all’interno del castello affiora in maniera apodittica l’aspetto corrosivo, quasi vetriolico, di un Bergman che torna a considerare l’innamoramento alla stregua di un passatempo doloroso, mettendo una pulce nell’orecchio di coloro che ancora nutrono velleità utopistiche nei confronti dell’amore di coppia e negano l’evidenza delle sue disillusioni.
“I giovani innamorati sono rari su questa terra, si potrebbero contare con le dita,” recita l’autore per bocca di un panciuto cocchiere libertino. “L’amore li ha sfiorati come un dono o una punizione. Noi pensiamo di possedere l’amore, lo invochiamo ma non l’otteniamo.”
E nel presente inno alla stupidità dell’uomo (ed allo spirito di rivalsa femminile), gli strali del regista, del tutto dissimili da quelli dorati del Cupidino ammiccante assurto nella “Lezione d’amore” a buona cosa di pessimo gusto, colpiscono in serie in maniera perentoria e spregiudicata, innalzando al disonore degli altari cinematografici la dignità delle vittime. In particolar modo viene portato un attacco in profondità all’elogio dell’immoralità elevata a pura etica utilitaristica e non a caso la figura del protagonista, un Gunnar Bjõrnstrand perennemente in forma smagliante, è ritagliata su un classico archetipo maschilista che racchiude in sé tutti i difetti possibili ed immaginabili del proprio sesso, contrapposto alla figura femminile di Eva Dahlbeck che incarna per contro lo spirito d’intraprendenza e rivalsa della donna.
- Sorrisi di una notte d’estate è lo sviluppo del motivo di “Una lezione d’amore, - scrive Bergman. - si basa sulla terrificante intuizione che ci si può amare anche se non si può vivere insieme. Qui c’è anche una porzione di nostalgia, un rapporto padre-figlia preso dalla mia vita, e che è per me fonte di grande turbamento e di dolore. -
In virtù di un meccanismo narrativo implacabile in tutti i suoi dettagli, come lo scorrere dei macabri orologi che scandiscono lo sviluppo temporale della diegesi filmica, il regista muove sulla scacchiera il destino di quattro coppie inserite in un sottile e grottesco “jeu de massacre” in un film che in taluni tratti abbandona di buon grado il territorio della commedia per sconfinare in quello più tortuoso del dramma da camera (da pranzo), degenerando gradualmente in una tensione narrativa che nella scena conviviale raggiunge dei limiti pressoché insostenibili. Né si fa troppo attendere come già nella “Lezione d’amore”, la consueta scena del tentato suicidio che in qualche modo, grazie ai suoi risvolti dichiaratamente ironici e pochadeschi, funge da innesco della reazione a catena destinata nel finale a ricomporre in maniera tutt’altro che ortodossa i destini della varie coppie, in una serie di (ri)abbinamenti che indirizzano automaticamente la storia sul versante di un accomodante happy end.
Si nota ovviamente l’assenza di un inopportuno “e vissero felici e contenti” che non ha modo di sussistere in un autore per il quale l’estate della vita dura solamente lo spazio di un mattino ed in cui l’elemento femminile, nonostante le sue innate doti di costanza, lucidità, ed intelligenza, è destinato talvolta a soccombere alle asprezze del fato ma non alle manifestazioni di vanagloria maschile.
In definitiva “Sommarnattens leende” nel nutrito corpus bergmaniano è da considerare una sorta di intermezzo leggero ma non troppo per prendere un po’ di fiato prima di rituffarci nei tortuosi percorsi autoriali che ci portano a scrutare da vicino quegli esseri senza nome e senza fissa dimora che emergono nell’ora (del lupo) che volge il disio ai bergmaniani e rinvigorisce il core. Consigliati ovviamente a chi non ha paura del buio.

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